da Mario Filomeno

L’ex Assessore Antonio Andrisano,dopo le dimissioni un momento prima dello scioglimento del Consiglio Comunale di Francavilla (18 aprile scorso) e l’annuncio del suo ritiro dall’attività politico-amministrativa, oggi con un comunicato stampa annuncia la costituzione di un movimento politico-culturale,senza alcuna denominazione ma chiaramente finalizzato a dare un contributo di “idee e progetti” per amore di Francavilla. Il movimento,per ora costituito da 13 componenti, è stato presentato questa sera nella trasmissione condotta da Gianni Cannalire “Francamente”. E allora, dalle prime cose dette e scritte si  intuisce che il Movimento:a) ha finalità elettorali in vista della prossima campagna elettorale per l’elezione del Sindaco. Altrimenti non si comprenderebbe questa sua frettolosa e quasi improvvisata pubblicizzazione preferiale e senza denominazione.Anche se stasera in radio sono state preannunciate altre adesioni tra le quali,se ben ho compreso, quelle di ex amministratori o consiglieri comunali;b)-Diversamente da quanto sostenuto al momento delle dimissioni e dell’annuncio del ritiro (“resterò sempre nell’ambito del centrodestra”), adesso l’ex Assessore parrebbe aver cambiato idea: questo è un movimento non legato a nessun partito e aperto al dialogo con tutte le forze in campo;c)-con una esemplare tempestività vi è stata una presa di posizione di Udc e Noi Centro che danno il bentornato ad Antonio Andrisano oltre che augurare buon lavoro al Movimento.Alcune domande:1)-l’iniziativa nei termini come è stata presentata è il frutto di una spontanea manifestazione di volontà di Antonio Andrisano e di qualche altra persona di buona volontà o è invece preparata da qualche tempo?2)-Antonio Andrisano è tanto ingenuo sino al punto da ritenere di affrontare da solo, con un suo movimento, una campagna elettorale abbastanza “dura”? Non credo ad un Antonio impegnato in una semplice “testimonianza”;3)-chi sceglierà Antonio tra Vitali, Ferrarese e Curto? Da questa scelta emergeranno sicuramente le finalità sottese……………Nessuno si lasci ingannare dalla presenza,inopportuna, in questo nascente Movimento del dr. Luciano Della Corte………………o,meglio, interpretate la questione,se da interpretare,alla luce della lunga storia politica e amministrativa del dr. Vincenzo Della Corte il quale ha amministrato con qualsiasi “fazione” politica……………o,magari, si intendono lanciare messaggi a qualcuno del Pdl o,molto probabilmente, sarà stato un atto di cortesia nei confronti di Antonio……………chissà!!!!!!!!!!!!!! 4)-l’Udc e Noi Centro,come credo Antonio Andrisano, hanno detto e ribadito che per loro non esistono le primarie per la scelta del candidato Sindaco. E allora il Pd e quel che è rimasto del centrosinistra che faranno? Attenderanno la classica Madonna della Fontana ? Ma quale? Qquella celebrata a settembre o quella celebrata a gennaio 2014?Ho un brutto presentimento…………….l’inerzia, l’indolenza, la dissolvenza procurata,il ricatto di qualcuno con i suoi 500/600 voti non produrrà nulla di buono e positivo……………salvo non accettare come nel 2009 di andare a ruota del Deus ex Machina  che,confidando nella debolezza ancora una volta del centrosinistra di Francavilla, potrebbe continuare a perseguire vari obiettivi. Quali? Chi vivrà vedrà…………E poi ………………sempre attuale: “cambiare tutto per non cambiare nulla”…………..l’importante è liberarsi di qualcuno? A SBANTATIVI DIRIGENTI DEL CENTROSINISTRA!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! Ci faciti ancora a ttiempu………………..

 

 

Saluti dal quasi babypensionato…………….


L’Ira sorride, dall’alto della sua armatura 
Viola di metallo luccicante. 
Regina Gelosia, l’invidia aspetta alle sue spalle, 
la sua veste verde fiammante schernisce il manto del prato. 
Blu sono le acque che danno la vita e senza scomporsi, 
tranquillamente comprendono. 
Eserciti turchesi un tempo felici sono schierati l’uno di fronte all’altro, pronti, 
ma si chiedono perché il combattimento stia per cominciare. 

Ma sono tutti audaci come l’amore. 
Eh, sono tutti audaci come l’amore, sì! 
Sono tutti audaci come l’amore. 

Se vuoi chiedilo all’Asse. 

Il mio Rosso è così spavaldo, fa mostra di trofei di guerra 
E nastrini d’euforia. 
L’Arancione è giovane, pieno di sfida, ma 
Molto precario per la prima uscita. 
Il mio Giallo in questo caso non è tanto rilassato. 
In effetti, sto cercando di dire che è spaventato come me. 
E tutte queste mie emozioni mi inibiscono dal 
Dare tutto me stesso a un arcobaleno come te. 

Ma sono, sì, sono audace come l’amore 
Beh, sono audace, audace come l’amore, 
ascoltami mentre parlo, ragazza. 
Sono audace come l’amore, 
se vuoi chiedilo all’Asse. 
Lui sa tutto…                           Jimi Hendrix-Bold as LOve

 
Quasnti colori in una sola canzone, una sola poesia…. questo testo è stato scritto dal mitico cantante e chitarrista
afroamericano Jimi Hendrix, un dio della musica.
 “Eserciti turchesi un tempo felici sono schierati l’uno di fronte all’altro, pronti, 

ma si chiedono perché il combattimento stia per cominciare. 

Ma sono tutti audaci come l’amore. 
Eh, sono tutti audaci come l’amore, sì! “
Sono tutti audaci come l’amore. 
E poi ancora: “Il mio Rosso è così spavaldo, fa mostra di trofei di guerra 

E nastrini d’euforia. 
L’Arancione è giovane, pieno di sfida, ma 
Molto precario per la prima uscita. 
Il mio Giallo in questo caso non è tanto rilassato. 
In effetti, sto cercando di dire che è spaventato come me. 
E tutte queste mie emozioni mi inibiscono dal 
Dare tutto me stesso a un arcobaleno come te. “

….Sono spaventato anch’io, caro jimi…il mio colore è  l’Arancione. E’ giovane, pieno di vita,
ma pure pieno di insidie, mille paure. L’arancione, un colore molto precario, troppo precario per la prima
uscita…. Oggi avremmo proprio bisogno di tanta poesia,  perchè il sapere, ogni tipo di arte e ogni disciplina, 
umanistica e scientifica, fanno tremare le poltrone di tutto il pianeta, ribaltano ogni governo, anche il più dispotico.
La fantasia al potere dicevano nel sessantotto….e noi invece chediciamo? BUUUUUUUUUUUUUUUUUUU!!!!!!!!!!
…………..E TUTTE QUESTE MIE EMOZIONI MI INIBISCONO DAL
DARE TUTTO ME STESSO A UN ARCOBALENO COME TE!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

 Il grigio si intristisce e butta acqua, il viola scappa al tramonto, il nero si fa nero, il rosso dura poco, il giallo brucia tutto… e l’azzurro costa caro! E a fare il cielo ce ne vuole… mica solo un tubetto! (Antonio)
NICOLA

Grillo continua ad atteggiarsi (con più nervosismo, ma con uguale arroganza) a padrone del M5S, a depositario di un potere assoluto che, tuttavia, i “cittadini” approdati al parlamento non accettano più. Anche perché la caduta verticale di consensi scuote fortemente quel senso di onnipotenza che il nuovo re Mida aveva suscitato intorno alla propria figura carismatica. Da qualche tempo, quel che tocca non si trasforma più in oro e la contestazione interna, prima contenuta e mascherata dalla strepitosa crescita elettorale, si fa ora più esplicita e audace. E’ trascorsa solo una manciata di settimane dalle elezioni politiche, ma l’urlo risuonato da una piazza d’Italia all’altra, quel lapidario“tutti a casa”, gli si è strozzato in gola. Il capitale politico accumulato in un batter di ciglio si sta riducendo con la stessa rapidità e non c’è alchimia retorica che possa nascondere le evidenti ragioni che stanno provocando un così impetuoso riflusso.

Esse risiedono, innanzitutto, nell’incapacità del M5S di giocare un ruolo propositivo, nel rifiuto di investire la propria ingente rappresentanza parlamentare in una strategia da realizzare qui ed ora, nella inquietante (e quanto illusoria) pretesa totalitaria di conquistare “prima” tutto il potere, speculando sull’implosione delle forze politiche, data per inevitabile.

Grillo ha promesso il lavacro dei partiti al potere, ma non ha fatto nulla perché le contraddizioni in essi presenti esplodessero davvero, riducendo la sua invettiva ad una profezia priva di gambe. Per inverarla occorreva darsi un progetto politico vero, non un abborracciato sincretismo culturale, condito con una babilonia di linguaggi e di intenzioni che convivono confusamente nel calderone grillino.

Dalle piazze al parlamento è come se non fosse accaduto nulla. E invece, coloro che il movimento ha in qualche modo selezionato, eletto e ai quali ha affidato un mandato, ora vogliono emanciparsi dall’Egoarca che pretende di dettare loro anche il ritmo del respiro.

Una questione democratica è ormai aperta. E non basteranno grida, minacce, anatemi, espulsioni decretate ex-cathedra a frenare la ribellione. Anche l’appello alla rete, simulacro di democrazia brandito da Grillo come una clava contro il dissenso interno, finirà per rivoltarglisi contro.

La sindrome paranoica del monarca che non si fida più di nessuno, che agita il più frusto degli slogan autoritari (“Chi non è con me è contro di me”), che risolve la dialettica interna con sanzioni amministrative (perché “epurandosi ci si migliora”), che si circonda di una castina di mediocri ma obbedienti replicanti, è la spia di una crisi profonda, verosimilmente irreversibile. Ed è un peccato, perché dentro quel magmatico e immaturo movimento, si trovano energie, intenzionalità sane e un vero potenziale di cambiamento.

Perché le promesse del M5S non si inabissino del tutto servirebbe una rivoluzione democratica nelle sue file, che affranchi il movimento dalla tutela dittatoriale del suo fondatore. Devono “uccidere il padre”, se vogliono crescere. A cominciare – considerato che una fase costituente dal basso non c’è mai stata – dai gruppi parlamentari, che rappresentano l’embrione di un gruppo dirigente in divenire. Se questo non accadrà, la stagione del comico si concluderà là dove è iniziata e le speranze genuinamente coltivate da tanti giovani si trasformeranno in una nuova cocente delusione.

Dino Greco

napoli foto assembleadi Romina Velchi – La fuori c’è un mondo che chiede di entrare; c’è una realtà in carne e ossa che chiede di contare, di avere voce in capitolo. A Napoli va in scena il confronto tra il centro e la periferia “dell’impero”, per stare alla metafora usata da Rosa Rinaldi aprendo i lavori dell’assemblea dei segretari dei circoli di Rifondazione delle regioni del sud (Campania, Basilicata, Puglia, Calabria: presenti 85 circoli. Per la Sicilia e la Sardegna assemblee analoghe si sono svolte il 19 maggio), convocata nella bella sala Gemito, proprio di fronte al museo nazionale della città partenopea. Un pezzo del percorso verso il congresso straordinario che si svolgerà in autunno.
Nonostante il pessimismo che qua e là affiora negli interventi, il dibattito è tutto un incalzare, un chiedere, un interrogare, un pretendere che il partito, e cioè i suoi vertici, dia un chiaro segno di svolta. Non solo o non tanto al congresso, urgente è capire «chi siamo e dove andiamo».

 

E certo l’occasione (è la prima volta che i segretari dei circoli vengono “convocati” in una plenaria) è ghiotta per mettere nel tritacarne le scelte politiche compiute fin qui (qualche volta condivise, qualche volta subite). «Siamo orfani di un percorso politico, costretti a ripartire da zero – accusano in un documento letto in assemblea 18 circoli della federazione di Bari, che mettono all’indice «scelte deleterie» come la federazione della sinistra o «frettolose» come Rivoluzione civile – Abbiamo aspettato le iniziative altrui, mai siamo stati promotori, ispiratori, incapaci di orientare i processi politici». Per Daniele (Napoli) «il problema non sono le conferenze, i seminari e i congressi ma linea politica, non vedo chiarezza», mentre da Foggia rimproverano che «abbiamo peccato di poca autonomia e subalternità», offrendo un’indicazione di metodo: «Se stiamo sui problemi concreti non abbiamo il problema dell’oscuramento mediatico». Si accalora, Lucio (Paola), quando dice che «non ci siamo presentati per quello che siamo» e che «il nostro simbolo è un manifesto politico» ma «riesce a parlare di più agli altri che non a noi. Non propongo una ricetta di chiusura o svolte settarie, va bene costruire un fronte alternativo, ma non ci possono chiedere passi indietro, non dobbiamo nascondere la nostra identità politica». «Non ci dobbiamo meravigliare se non ci votano, siamo stati gli ultimi a lasciare Bassolino – attacca Gabriele (Napoli) – e ora recuperare una dimensione di credibilità non è semplice. Se il problema è ancora che dobbiamo decidere una tattica di breve periodo per rientrare in parlamento, beh io non sono disponibile. Non voglio stare con una forza politica che vota sì a Maastricht, lo faccia Vendola». Come dire: viene prima il progetto, poi il processo di unità. «Una volta facciamo gli ambientalisti, un’altra i radicali: ci dobbiamo caratterizzare di più come comunisti – invita Emanuele (Francavilla fontana, Brindisi) – Così il Prc avrà un futuro». Insomma, nessuno, o quasi, mette in dubbio che Rifondazione non sia autosufficiente e che sia necessario costruire alleanze, ma il punto è come lo si fa; cioè, se il Prc «lotta per l’egemonia del nuovo soggetto politico».
Già, il progetto. Come Mimmo (Pomigliano) lo ripetono in molti: «Manca un progetto politico» o quanto meno non è chiaro, dentro e fuori il partito. Il che poi è uno dei motivi per cui si è deciso di tenere queste assemblee: «E’ evidente che dentro il Prc c’è difficoltà a far circolare le informazioni e le opinioni – aveva esordito Rosa Rinaldi nell’introduzione – Si fa sentire l’assenza drammatica del giornale. Queste assemblee vorrebbero servire come momento di ascolto su una proposta di rilancio di Rifondazione per la costruzione di una sinistra alternativa e su come farlo». In breve, la domanda è: «Stiamo facendo accanimento terapeutico su un corpo sfinito?», mettendo però sul piatto qualche punto fermo: «Abbiamo perso la campagna elettorale delle politiche durante la campagna elettorale, perché il programma era buono»; «Paghiamo la generosità dimostrata quando abbiamo messo da parte le nostre bandiere»; «Le elezioni amministrative dimostrano che abbiamo ancora un corredo di credibilità là dove riusciamo a costruire alleanze alternative al Pd e invece perdiamo sonoramente dove andiamo da soli»; «Stiamo facendo incontri a sinistra (Fiom, Rossa, Alba; Sel finora non ha risposto all’invito), ma basta ripercorre schemi falliti».
Pur senza nascondersi le enormi difficoltà, nelle risposte dei circoli non c’è rassegnazione o disfattismo; non ci sono «toni assolutori o autolesionistici», per dirla con Raffaele Tecce. Proprio nelle regioni del Sud la condizione è drammatica, prima di tutto sul piano sociale, e il lavoro politico è difficilissmo («Persino l’abbonamento a Liberazione è un lusso»). Il caso Ilva è un po’ la metafora del Sud: «C’è tutto: la questione ambientale, quella occupazionale, l’intreccio mala politica-affari» sottolinea Giovanni, del circolo Impastato. Ma proprio il polo tarantino è anche l’emblema del ruolo che un partito come Rifondazione può ancora svolgere: «La nazionalizzazione non è una proposta di oggi – dice ancora Giovanni – e non deve essere semplice maquillage. La Confindustria non la vuole perché teme possa diventare un precedente, ma noi andiamo avanti: abbiamo lanciato una petizione, prima tra i lavoratori, poi in tutta la città per chiedere la nazionalizzazione» (e non a caso Rinaldi aveva aperto la sua relazione leggendo il testo della petizione). Non è una passeggiata: i lavoratori vengono già minacciati e invitati a non firmare. «Ecco – dirà nelle conclusioni Roberta Fantozzi – noi siamo anche quelli che, da soli e con coraggio, hanno invitato a non scioperare contro i magistrati». Ma in generale «A Roma con la Fiom c’erano i comunisti, senza il Prc sarebbe stato un flop» insiste Emanuele.
La forza, la determinazione ad andare avanti, forse, i circoli del sud la trovano proprio nella fatica quotidiana, nel doversi misurare ogni giorno con i problemi concreti, spesso drammatici, delle persone in carne e ossa. E quando riescono a trovare un varco, a farsi riconoscere, i risultati arrivano, come a Marano. Non accanimento terapeutico, dunque, ma nemmeno riunione da «alcolisti anonimi». «Non state lì a guardarvi l’ombelico» è l’invito che più d’uno rivolge ai dirigenti nazionali. «Troppe analisi, troppe parole. Noi dobbiamo essere il partito dei fatti» esorta Pino (Cosenza).
E soprattutto, «dobbiamo essere il partito delle idee e non delle tessere». La nota dolente è, anche, sulle modalità con cui vengono scelti i gruppi dirigenti: «Non può più essere accettato che sia rappresentato chi ha più tessere, ma ha meno consensi» si dice da più parti. E l’invito, davvero pressante, è a non fare un congresso «contro qualcuno, ma per qualcosa» e a rompere «l’immobilismo delle logiche pattizie e correntizie». Insomma, il congresso deve essere l’occasione anche per riscrivere le regole per pratiche nuove di funzionamento interno.
Un invito che Fantozzi raccoglie nelle sue conclusioni, anche auspicando che incontri come questo diventino «un modo di funzionamento normale del partito». Ribadendo che Rifondazione «è necessaria ma non sufficiente», Fantozzi invita a prendere esempio proprio dall’esperienza locale dei circoli: «Il Prc continua a svolgere un ruolo ed è assolutamente decisivo, pur con le difficoltà, per la costruzione di una sinistra alternativa. Quale altro soggetto organizzato ha questa prospettiva?»; però, il baricentro dell’iniziativa politica devono essere «la crisi e il contrasto alle politiche che l’hanno provocata» e che ancora non hanno dispiegato in pieno i loro effetti. Le proposte concrete non mancano, Fantozzi le elenca una per una (tra cui quella di una legge di iniziativa popolare per modificare l’art.75 della Costituzione che vieta i referendum sui trattati internazionali) e annuncia che nel prossimo Cpn verrà data una presenza ancora più forte alle vertenze territoriali. Soprattutto anche Fantozzi ribadisce «no ad un bis di Rivoluzione civile; o parte un processo vero di autonomia dal centrosinistra oppure il Prc alle prossime elezioni europee si presenterà da solo».
Ma è tutto lavoro da fare e da costruire per rimettere in piedi il partito: «L’elaborazione politica dovrebbe essere elemento costante» della vita del Prc. I circoli non chiedono altro.

Incontro con Rossana Rossanda.
“Io, eterna madre della sinistra uccisa dai figli”

L’allontanamento dal “Manifesto”. Il conflitto fra generazioni. Le nuove disuguaglianze. Colloquio con la “ragazza del Novecento”

di SIMONETTA FIORI

Incontro con Rossana Rossanda. "Io, eterna madre della sinistra uccisa dai figli"

BRISSAGO – “No, non ci capiamo più. Li ho ascoltati per tanti anni, un lungo miagolio sulle mie spalle. Venivano dalla madre a raccontare le delusioni esistenziali. Gli amori, le speranze, le difficoltà. Ma ora davvero non ci capiamo più”. Lo sguardo è severo e insieme sorridente, l’incarnato candido come le camelie che fioriscono nel giardino qui intorno. Da qualche mese Rossana Rossanda vive a Brissago, un angolo del Canton Ticino dove si fermerà fino alla fine di agosto. “Sì, è un bel posto. Dall’ospedale di Parigi vedevo solo la periferia, qui c’è il lago per fortuna increspato dal vento. Per chi non la conosce, la Svizzera può essere incantevole. Ma pare che chi ci vive la trovi insopportabile”. 

Azzurro ovunque, le vele bianche, anche i monti innevati, una bellezza quasi sfacciata e intollerabile allo sguardo ferito di chi abita nella grande casa di vetro affacciata sul lago Maggiore. “La prego”, si rivolge con famigliarità all’infermiere, “può dare un po’ d’aria alle rose?”. La stanza è luminosa, sul comodino la bottiglia di colonia e la biografia di Furet, un po’ più in là l’ultimo libro di Asor Rosa, I racconti dell’errore. “È un bellissimo libro sulla vecchiaia e sulla morte. Ma noi vogliamo parlare d’altro, vero? I necrologi lasciamoli da parte”. 

Per i più vecchi, nella famiglia del Manifesto, è stata l’eterna sorella maggiore, la quercia sotto 


cui ripararsi nella tregenda. Per i “giovani” – così li chiama, anche se giovani non sono più da tempo – è la madre temuta e ingombrante. “Sì, una madre castratrice. Mi hanno sempre visto così, anche se io non mi sono mai sentita tale. Ho sempre cercato di capire, di dar loro spazio, ma forse è una legge generazionale. I figli per crescere hanno bisogno di uccidere i padri e le madri. E ora è toccato anche a me”.


Nel settembre scorso ha lasciato il giornale da lei fondato con un articolo molto polemico: è mancata una riflessione su chi siamo, su cos’è diventato il quotidiano, sul rapporto con le origini e con il presente. Su cos’è oggi la sinistra. Insieme a Rossanda, se ne sono andati anche Valentino Parlato e diverse altre firme. “Non siamo noi ad essercene andati. È il Manifesto ad averci cacciato. L’abbiamo perso. Non voleva più saperne di noi, e noi ci siamo ritirati. Anche stupidamente, perché dovevamo essere noi a far tacere i più giovani. C’è stata una grandissima cesura, tra la nostra generazione e quella successiva. Mossi da una sorta di risentimento, non fanno che dirci: soltanto un mucchio di macerie, ecco quello che ci avete lasciato. Voi, con le vostre certezze e le vostre idee granitiche. È la frase più stupida che abbia mai sentito”. 

Macerie, certezze, noi e loro. Nessun errore, nessun ripensamento? “Il mio errore è stato non tenere unito il gruppo. E anche non capire che, se per la nostra generazione è stata dura, per quelli nati negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso lo è ancor di più. Ma non dovevamo farci portare via il giornale. Come in un refrain, ci ripetono: è cambiato tutto, niente è più uguale a prima. Ma cosa vogliono dire? Cos’è questo tutto che è cambiato?”.

Il mondo le appare più ingiusto che mai, tra privilegio e povertà, sfruttatori e sfruttati, management superpagato e lavoratori affamati. “Non c’è mai stata tanta ineguaglianza nella storia. Però si passa sopra tutto questo, non importa. È stato assorbito anche dai giovani il bisogno di abolire il conflitto, come se lo scontro sociale fosse una roba del secolo scorso. Anche il Manifesto ci ha rinunciato da tempo, mescolando confusamente beni comuni ed ecologismo. Sì, certo, di queste cose non me ne importa niente anche per miei limiti. Ma sento il bisogno di chiedere un ritorno al conflitto di classe. E non penso a un estremista assetato di sangue, ma alle analisi di Luciano Gallino, che io ricordo all’epoca di Adriano Olivetti”. 

Le fa orrore una società pacificata, “l’assurda intesa benedetta da Napolitano tra Berlusconi e quel po’ di sinistra che resta”. E non ha grande fiducia nei movimenti, generosi e vitali ma impotenti. “Prevale ovunque l’antipartito, che mi sembra profondamente sbagliato. I partiti hanno avuto molti difetti, ma ciascuno da solo non combina niente. L’alternativa rischia di essere Grillo, il quale è riuscito a condensare i peggiori vizi dei partiti – l’autorità del Capo – senza esercitarne la funzione più nobile, ossia tenere insieme le persone, impegnarle in un progetto comune. Poi lo stile: quello che ha fatto con Rodotà è al di sotto di ogni decenza”. 

No, ora non le interessa più tornare al Manifesto, confondersi “in quel chiacchiericcio insensato”. Preferisce scrivere “su un sito di economisti intelligenti come Sbilanciamoci”. Ma non è una rottura personale, solo politica. Lo ripete più volte, come se ci volesse credere. “Almeno per me è così. Non mi pesa aver litigato con qualcuno, umanamente faccio la pace subito. Io non faccio pace con le idee, che è cosa molto diversa. Ma i giovani ragionano in altro modo. E forse io voglio più bene a loro di quanto loro ne vogliano a me”. 

Ora che è finita, quella storia può essere raccontata, cominciando dall’inizio. Là dove chiude Una ragazza del secolo scorso, con la nascita del Manifesto e il tentativo di far da ponte tra il Sessantotto e la vecchia sinistra. “Non funzionò e vorrei tentare di capire cosa è successo. Il libro l’ho già in testa, si tratta di scriverlo. Più che l’attuale divisione da Norma Rangeri, mi pulsano gli antichi contrasti con Pintor, Magri e Natoli”. Bisogna capire tante altre cose, anche perché il paese s’è ridotto in questo stato. “Lucio è stato quello che dal fallimento politico ha tratto le conclusioni più pesanti, scegliendo di morire. La perdita della moglie amata ha coinciso con una perdita di senso più generale. E ha preferito andarsene”. Perché volle accompagnarlo nell’ultimo viaggio? “Era il minimo che potessi fare. Nel nostro gruppo, ero la persona che l’aveva più ferito. All’epoca del Pdup, gli portai via il giornale, sottraendogli la carta più forte nella discussione con Berlinguer. Naturalmente lo rifarei da capo, ma è sicuro che gli feci male. E avendogli voluto molto bene, mi è parso il minimo stargli vicino nel momento della fine. Stava male da anni, non era una malinconia passeggera. Abbiamo fatto di tutto per dissuaderlo, ma non ci siamo riusciti. Allora gli ho chiesto: “Lucio, vuoi che ti accompagni?”. Speravo mi dicesse no. Invece lui mi ha detto sì. E io l’ho fatto”. 

Aveva immaginato una morte serena, “come accadeva nell’antichità”. E invece no, non è andata così. “Un’esperienza terribile. Però è una scelta che rispetto, e capisco. Vivere per vivere non ha molto senso. Se non ci fosse Karol (ndr il marito malato che l’aspetta a Parigi) non avrei alcun interesse a vivere”. Accompagnare qualcuno verso la morte – disse una volta in un dialogo con Manuela Fraire – vuol dire addomesticare il pensiero della propria fine. “Il dolore ti fa capire molte cose, ossia il dolore stesso. Noi rifuggiamo dall’esperienza negativa, dall’annullamento, mentre il dolore ti sbatte sul muso questa roba, e allora lo capisci. Non credo invece che tu possa uscirne migliorato, perché è un’esperienza pesante, che può schiacciarti. Così come non penso che il lutto si possa elaborare, ma rimane parte di te, incancellabile”. 

Tutte le persone perdute se le trascina dietro, anche qui, davanti allo strano lago che assomiglia al mare. Il lago nero della sua gioventù partigiana, quello dove i tedeschi buttarono i corpi martoriati. “Oggi vivo nel presente, ma non è più il mio, essendone venuti a mancare gli elementi costitutivi. Un presente che si restringe nel tempo e nella frequentabilità. Prima potevo dire domani vado a Berlino o salgo in montagna. Ora non lo posso dire più”. Prevede l’obiezione, gli occhi s’accendono d’ironia. “No, non mi piace invecchiare. Sono entrata nel novantesimo anno, ma non ne faccio motivo di vanto. Norberto Bobbio ci scrisse sopra uno splendido libro, De Senectute. Ma io non appartengo a questa categoria. Sono rimasta esterrefatta quando mi sono trovata un ictus addosso, e vorrei liberarmene. Cosa che non avverrà. Noi del corpo non sappiamo nulla. Le mie amiche femministe dicono che le donne siano più vicine all’organismo, ma non è vero. Ora provo cosa vuol dire avere mezzo corpo, ed è terribile. Il corpo o è integro, o non è. Non si è un po’ paralizzati, un po’ malati. Lo si è completamente”.

Ma la mente è lucida e affilata come prima dell’imboscata. “Un’aggravante. Non ti puoi distrarre da quel che sei. Non mi sono accorta di niente, quando mi è venuto l’ictus. Non ho provato dolore, non sono caduta. Guardavo la tv, nella mia casa di Parigi. E all’improvviso sono diventata una medusa, una creatura gelatinosa e impotente. Ha presente un grosso medusone?”. Ti guarda e scoppia a ridere, come se l’improbabile mostro marino appena evocato potesse portarsi via le paure. “Davvero, è così. Allora bisogna avere un carattere energico, e dirsi: io vado avanti. Ma non ho questo temperamento eroico”.

Doriana, l’amica che non l’ha mai lasciata, le porta il tablet per leggere. Rossanda è divertita e perplessa, “chissà se mi ci abituo”. Eterna sorella maggiore, quella che ne sa sempre di più, e s’addolora se gli altri non la seguono, forse è lei oggi a desiderare una sorella più grande. “No, sono prepotente. E non potrei sopportarla”. Le “ragazze del secolo scorso” sono fatte un po’ così. “Sì, certo appartengo al Novecento. Anche al giornale mi hanno guardato come una donna di un tempo lontano. Ma è stato un grande secolo, cosa che l’attuale non ha l’aria di essere. Abbiamo vissuto una storia terribile, ma una grande storia. Ora siamo nelle storielle”
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Comunicato Stampa A.S.D. Quartograd

 

Ecco la Verità su quanto accaduto nella notte tra Sabato e Domenica sulla Napoli-Bari.

VOLEVANO FARE UN ALTRO GABRIELE SANDRI.  

 

Avremo dovuto essere qui, oggi a raccontare quella che è stata una bellissima giornata di sport e aggregazione tenutasi ieri (Domenica 2 Giugno) a Lecce, in occasione dell’incontro amichevole tra le due realtà di calcio popolare quella dell’A.S.D. Quartograd e dello U.S. Spartak Lecce: squadre unite a centrocampo a ricordare in un minuto di raccoglimento, la scomparsa di Franca Rame, tifosi uniti sulla gradinata ad incitare con cori e slogan valori antifascisti e antirazzisti per l’integrazione e la socialità dei popoli, cose insomma che difficilmente oggi si vedono sui campi di calcio anche se di categorie superiori. Purtroppo, in seguito alla mistificazione e l’intossicazione della realtà avvenuta a mezzo stampa in queste ore, circa quanto accaduto durante il viaggio per Lecce non ci possiamo esimere dal raccontare quella che è la nostra (quella reale) versione dei fatti. Nella notte tra Sabato e Domenica un pullman composto da squadra e sostenitori dell’A.S.D. Quartograd è partito da Quarto (Na) per raggiungere Lecce, dove era prevista un’amichevole per sancire il gemellaggio tra queste due realtà portatrici di valori sani e progressisti in un mondo, specialmente quello del calcio specchio della nostra società, in cui vige la regola del più forte (pesce grande mangia pesce piccolo)e in cui tutto  è concesso se viene fatto in nome del profitto e dell’interesse individuale. Sul pullman erano presenti, ragazzi e ragazze, giovani e meno giovani, lavoratori, disoccupati, studenti, precari, italiani e stranieri : tutta gente insomma che la mattina si alza e va a lavorare e senza lavoro non può campare; accomunata dalla passione per il calcio e dall’amore per l’A.S.D. Quartograd. E’ così accaduto che durante una sosta in autogrill, siano state prese , senza pagare, alcune bottiglie di vino, qualche busta di biscotti e delle patatine : una ragazzata, dell’ordine delle tante che possono essere commesse quando si è giovani, tra l’altro rientrata subito, ancor prima di ripartire dal suddetto autogrill, quando rientrati tutti in pullman e resici conto della cosa, abbiamo raccolto il tutto per restituirle con tanto di scuse all’addetta in servizio dell’Autogrill. Solo a quel punto il viaggio è ripreso, alla volta di Lecce, senza né furti, né assalti o razzie fatte in nessun’area di sosta (questo si legge sui giornali e sui blog on-line). Ai responsabili del gesto, è stata fatta una tirata d’orecchie e la cosa sembrava essersi calmata; nessuno di noi immaginava a cosa stavamo andando incontro : una progressiva sospensione dei diritti democratici figlia più di una dittatura militare che di uno stato democratico, quale “dovrebbe” essere il nostro.   Dopo manco 30Km dalla ripartenza è intervenuta una pattuglia della Stradale di Grottaminarda (AV) – Targata H3521 – (erano le 4.00 del Mattino) con tre agenti a bordo, che ha bloccato il nostro pullman per un controllo. Inizia così una lunga carrellata di gravi episodi,  fatta di provocazioni, abusi e violazioni dei diritti fondamentali di liberi cittadini, il racconto assume i toni quasi di un film horror per chi l’ha vissuto in prima persona : con pistole “caricate” e puntate ad altezza d’uomo  da parte di agenti che tutto parevano, tranne che fossero intenzionati a stabilire l’ordine. Il tutto inizia con il controllo dei documenti del nostro Presidente, Giorgio Rollin che viene individuato come responsabile del Pullman, al quale dopo un controllo a terminale, viene detto che non è una persona poi così “pulita” , che ha un po’ di problemi con la legge e che loro sanno che è “perfino comunista”. All’agente viene ricordato  che oggi giorno, essere comunista non è un reato (non siamo in un regime Fascista, o meglio non lo siamo ancora)e che il nostro Presidente non è un criminale, ma un’attivista impegnato nel sociale e nella lotta per la costruzione di una società più equa. A quel punto prima provocazione, da parte dell’”uomo” in divisa : “io non alcun problema con voi, ragazzi,  anzi se c’è qualcuno di voi ha problemi con me e mi vuole sfidare, io non ho paura, mi tolgo la divisa e andiamo nella terra di la a fare uno contro uno”dice un’agente, quello che poi si dimostrerà essere l’agente pistolero, visibilmente scosso, non sappiamo se sotto l’effetto di stupefacenti, ma visibilmente instabile psicologicamente, un tale Massimo (così si è fatto chiamare per tutta la durata del fermo) che tra l’altro si è rifiutato anche di dare i propri connotati e il proprio numero di matricola, quando gli è stato chiesto (non è questo un abuso di potere?!) La provocazione non viene raccolta e gli altri agenti li presenti ci comunicano che devono salire sul pullman per fare una perquisizione (disposta da chi? c’è un mandato?), è sempre Massimo a procedere alla perquisizione, non è vero come detto da alcuni notiziari on-line che gli è stato impedito, non avevamo nulla da nascondere, era stato riconsegnato tutto, ed era nostra intenzione finire la cosa quanto prima. Durante la perquisizione non viene trovato, nulla, né sopra, né nel bagagliaio del pullman (tra l’altro non ci è stato nemmeno consegnato un verbale della perquisizione) ma il fermo continua e ci viene comunicato che devono procedere con l’identificazione di tutti i presenti sull’autobus. Così un nostro responsabile sale sul pullman a raccogliere i documenti, mentre chi non ne è in possesso scende per procedere all’identificazione con garante e viene fotografato .  Intanto il tempo se ne va, tutta l’operazione “d’intelligence” è durata circa due ore e all’agente Massimo, (quello per intenderci che non ha voluto dare i propri connotati), viene chiesto di velocizzare i tempi, avevamo la partita alle 11.00 non eravamo nemmeno a metà strada e intanto si erano fatte le 6 di mattina, dato che aveva lui stesso avuto modo di constatare di come non vi fosse alcun motivo per trattenerci.  Avviene così, l’inverosimile, ciò che poteva sfociare in tragedia: l’agente estrae dalla fondina, la pistola d’ordinanza, la carica e la punta alla tempia del ragazzo che si era permesso di chiedere di farci ripartire. Solo l’intervento dei suoi stessi colleghi che l’hanno bloccato e scaraventato sull’auto, ha evitato che accadesse un nuovo caso Gabriele Sandri, sulla Napoli – Bari, sabato notte. A quel punto e solo a quel punto, quando si stava per far sfociare una ragazzata, in tragedia, con l’agente Massimo, chiuso nella volante dai suoi stessi colleghi e con i nostri ragazzi che minacciavano esasperati di andare a fare un sit-in autostrada se non c’avessero concesso di ripartire, ci è stato dato disposizione di riprendere il viaggio.

Niente di più niente di meno, è questa la cronaca degli eventi di quanto accaduto alla carovana del Quartograd in viaggio per Lecce.  C’è un oscuro disegno dietro a ciò che sta accadendo intorno all’A.S.D. Quartograd. Come mai attiriamo l’attenzione in questo modo spropositato dei media e delle forze dell’ordine?? Come mai si parla di noi solo quando c’è da screditare, tra l’altro travisando completamente gli eventi  e non si parla dei risultati raggiunti sul campo o piuttosto degli eventi a scopo sociale organizzati sul nostro territorio in cui raccogliamo l’adesione di centinaia di giovani e non (Assemblee, dibattiti, Tornei di Calcio, Cineforum ecc).

 

La realtà è che questo progetto oggi da troppo fastidio, per ciò di cui si fa portatore, per i consensi raccolti sul nostro territorio e soprattutto per aver dimostrato che quando le masse popolari si auto-organizzano dal basso, possono vincere : dentro e fuori dal campo, che sia essa una battaglia sportiva oppure sociale, che sia in ballo una partita di calcio oppure il diritto all’abitare o ad un Lavoro Utile e Dignitoso.

 

A.S.D. Quartograd

Un Altro Calcio è Possibile

 

di seguito i link degli articoli “farsa” che sono comparsi sui siti on-line : 

 

“Il Mattino di Avellino”

http://www.ilmattino.it/avellino/avellino_calaggio_grottaminarda_polstrada_quarto_avellino/notizie/286902.shtml

“Il Corriere dell’Irpinia”

http://www.corriereirpinia.it/default.php?id=999&art_id=36782

Ciao, sono Nica, ho 18 anni e frequento il liceo classico di Putignano. Ogni giorno ho modo di incontrare i grandi del passato: ascolto le loro teorie, assisto ai loro tentativi di metterle in pratica, li guardo, vittoriosi o perdenti, declinare. Insomma, ho amicizie importanti.
Però, per contrasto, vivo a Turi: niente cinema, niente teatro, una biblioteca aperta un solo giorno a settimana, insomma un’atmosfera culturale carceraria, tetra come i due cimiteri che abbiamo. Capite bene che una persona “normale” non può fare un pranzo da dirigente e cenare da disoccupata (oramai i pranzi non sono più così lauti né per una categoria né per l’altra, con la sottile differenza che la seconda va addirittura ad acqua). La mattina hai patteggiato con i francesi: “Alle sei ci vediamo e cambiamo le cose!”, poi scendi dal treno, ti guardi intorno: quella palma desolata, che ha avuto pure il virus, al massimo la raffigurazione de “I sepolcri”.
C’è un conflitto tremendo tra la splendida teoria e la dura pratica, soprattutto in un paesino come Turi.
La mia risposta è Rifondazione Comunista. E’ un circolo culturale prima ancora che politico, frequentato da persone perbene, non da politicanti. Poniamo all’attenzione della gente quesiti referendari,attacchiamo manifesti, distribuiamo volantini. Siamo vigili tutti insieme, affinché il più debole non venga calpestato. In queste attività c’è il compromesso. Ci sono io: praticaeteoria.

Se riesci a conservare il controllo quando tutti
Intorno a te lo perdono e te ne fanno una colpa;
Se riesci ad aver fiducia in te quando tutti 
Ne dubitano, ma anche a tener conto del dubbio;
Se riesci ad aspettare e non stancarti di aspettare,
O se mentono a tuo riguardo, a non ricambiare in menzogne, 
O se ti odiano, a non lasciarti prendere dall’odio,
E tuttavia a non sembrare troppo buono e a non parlare troppo saggio;

Se riesci a sognare e a non fare del sogno il tuo padrone; 
Se riesci a pensare e a non fare del pensiero il tuo scopo;
Se riesci a far fronte al Trionfo e alla Rovina 
E trattare allo stesso modo quei due impostori; 
Se riesci a sopportare di udire la verità che hai detto
Distorta da furfanti per ingannare gli sciocchi
O a contemplare le cose cui hai dedicato la vita, infrante, 
E piegarti a ricostruirle con strumenti logori;

Se riesci a fare un mucchio di tutte le tue vincite 
E rischiarle in un colpo solo a testa e croce,
E perdere e ricominciare di nuovo dal principio 
E non dire una parola sulla perdita; 
Se riesci a costringere cuore, tendini e nervi
A servire al tuo scopo quando sono da tempo sfiniti,
E a tener duro quando in te non resta altro 
Tranne la Volontà che dice loro: “Tieni duro!”.

Se riesci a parlare con la folla e a conservare la tua virtù, 
E a camminare con i Re senza perdere il contatto con la gente,
Se non riesce a ferirti il nemico né l’amico più caro,
Se tutti contano per te, ma nessuno troppo;
Se riesci a occupare il minuto inesorabile 
Dando valore a ogni minuto che passa, 
Tua è la Terra e tutto ciò che è in essa, 
E – quel che è di più – sei un Uomo, figlio mio!

                                                                      Kipling

Auguri di buon compleanno segretariooooooooo!!!!!!!!


“E a ognuno secondo il suo bisogno
e da ognuno a seconda della sua capacità
e anche se oggi potrà sembrare un sogno
da domani può essere la realtà
da domani deve essere la realtà

Non diventare grande mai
non serve a niente sai
continua a crescere più che puoi
ma non fermarti mai

E continua a giocare a sognare a lottare
non t’accontentare di seguire
le stanche regole del branco
ma continua a scegliere in ogni momento”            Eugenio Finardi

                                                                 Nicola e Antonio Modugno



di Alessandro Gilioli 

Sabato sono sceso alla manifestazione della Fiom.
Non erano molti, no. I centomila di cui hanno generosamente parlano i giornali? Mah, lasciamo perdere, conosco abbastanza quella piazza per sapere quando sono centomila.
C’erano una decina di partiti comunisti e non scherzo: da Sinistra critica a quelli del Pcml. Alcuni vendevano fogli di cui ignoravo l’esistenza. Poi sono arrivati gli sbandieratori dell’Italia dei Valori: una ventina. Quindi quelli di Azione Civile, forse una decina di più, anche loro molto imbandierati: il simbolo è uguale identico a quello che si è presentato alle elezioni, solo non c’è più la rivoluzione.
Ho incontrato un po’ di amici: Maso Notarianni, Antonio Caprari, Antonello Impagliazzo del M5S.
Al chiosco, quello dietro la statua di san Francesco, il barista Giovanni aveva messo panino e birra a cinque euro: a poco a poco in molti si sono spostati lì, verso l’ora di pranzo. Erano in piedi dall’alba, stanchi. E avevano troppi vestiti addosso, quando è uscito il sole.
Ed è lì, al chiosco, che si si sono viste davvero le facce, che sono venute fuori davvero le storie. Niente che non sappiamo, s’intende: licenziamenti, casse integrazioni, affitti che si mangiano metà stipendio, figli straprecari, mogli che vanno a fare le pulizie in nero, il terrore vero che arrivi qualche imprevisto, perché già non ce la fai se non arriva. Gente di quaranta o cinquant’anni che sembrava vecchissima. Gente seduta sulla panchina con il volto tra le mani.
«Erano incazzati?», mi ha chiesto stamattina un collega. Magari, ho risposto io. Magari fossero ancora incazzati.
Quando sei disperato, così disperato, non hai più la forza per incazzarti.
Resta solo un muto crepacuore, sotto il sole, sulla panchina, davanti alla birra e al panino lasciato a metà.