La Compagnia Stabile Assai: teatro impegnato e di qualità fatto da detenuti contro l’angoscia del presente
La detenzione in Italia, mediamente più lunga rispetto alla maggior parte degli altri paesi europei, è qualcosa di assai stabile per parecchi prigionieri. Da questa constatazione, forse, è nata l’idea ironica di chiamare Compagnia Stabile Assai il collettivo teatrale composto da detenuti della casa di reclusione romana di Rebibbia.
Questa Compagnia, pur avendo avuto delle trasformazioni nella propria composizione interna, è talmente stabile da costituire la più vecchia formazione teatrale italiana creatasi in carcere.
Nata nel 1982 su pionieristica e coraggiosa spinta dell’educatore e musicista Antonio Turco, ha debuttato il 5 luglio dello stesso anno al Festival di Spoleto con la messa in scena di “Sorveglianza Speciale” di Jean Genet. In seguito si è contraddistinta per la produzione di opere originali, dedicate a temi del diritto, della vita sociale e della memoria collettiva: ad esempio la critica all’ergastolo (“Fine pena mai”), la follia (“Nella testa un campanello”), la questione meridionale (“Carmine Crocco”), la multietnicità (“Nessun fiore a Bamako”), storie di pirati nel Meridione del ‘700 (“Correnti”, assieme a Tarantula Rubra e al gruppo musicale “Terapia d’urto” della casa di reclusione Rebibbia ), un viaggio attraverso secoli di emarginazione tutta italiana (“Tutti i colori della notte”, proposto al Parioli di Roma e premiato con il “Cardarelli” a Tarquinia, da Maurizio Costanzo, come “migliore produzione teatrale dell’anno”).
Lo spettacolo più recente, la cui prima si è avuta martedì 15 gennaio al Parioli (vedasi per le repliche: www.teatroparioli.it ) è invece intitolato “E… (pacchetto Teatro Therapy)”.
In tempi di strani “pacchetti di sicurezza”, di fasulle emergenze securitarie, di scarsa sensibilità politica e giornalistica rispetto ai temi del diritto e della sicurezza sociale, è molto utile vedere e far conoscere questo prodotto artistico e culturale della Compagnia Stabile Assai.
Scritto da Antonio Turco e Antonio Lauritano e con la regia di quest’ultimo, è uno spettacolo con detenuti come Massimo Tata e Gaetano Campo che fanno gli attori.
La sua trama è sostanzialmente basata sulla complessa vita di Massimo, il protagonista, un detenuto che fa il portiere durante una partita di pallone in carcere.
Si tratta di una partita finale, fra una squadra di prigionieri ed una di persone esterne al mondo carcerario, con le ansie di una metaforica e parallela situazione da cui dipende il futuro stesso del protagonista.
Massimo riesce a parare due rigori e in quei momenti rivede le persone care che gli sono state vicine durante la carcerazione: la madre e gli amici.
Lui però non riesce a parare altri due rigori e in quei momenti avverte la presenza di altre persone: la moglie che lo ha abbandonato e il padre di una vittima che da tempo lo vorrebbe incontrare.
Due a due, una perfetta parità. Al “novantesimo” minuto però l’Arbitro fischia un rigore. La partita non è ancora finita. Massimo ha un ultimo incontro; sente crescere la propria tensione. Deve cercare di parare il rigore. Il futuro della sua vita dipende dalle sue mani, dalla sua capacità di non far entrare il pallone nella rete. Come andrà a finire?
La vita di un detenuto “stabile assai” giunge ad un certo momento, dopo molti anni, ad un’analoga partita finale di cui nessuno può fare pronostici relativamente sicuri. Questa partita, nella realtà concreta, vede ancora alzato il vessillo di quell’angoscia di cui, con forza memorabile, parla “Spleen” di Baudelaire. Il diritto sicuro e automatico non esiste. Vige piuttosto la sicurezza dell’incertezza del diritto. Il risultato può essere positivo o negativo. Nessun comune mortale si troverebbe a proprio agio in una situazione così kafkiana.
La Compagnia Stabile Assai ci fa quindi riflettere sulla condizione esistenziale di chi riceve la con/dannazione della pena carceraria.
Nata in carcere, la Compagnia Stabile Assai porta all’esterno, con un teatro impegnato e di buona qualità, critiche fattive alle logiche securitarie e ai discorsi secondo cui non dovrebbero esistere alternative alle prigioni per rispondere alle trasgressioni delle regole sociali..
Anche molti operatori che da tempo lavorano in carcere sanno benissimo quanto sia necessario e costruttivo realizzare percorsi e contesti alternativi al carcere stesso.
La produzione artistica e culturale della Compagnia Stabile Assai, ormai conosciuta in molti teatri di tutta Italia, è la dimostrazione vivente di quella saggia e lungimirante presa di coscienza.
Sandro Padula