La Compagnia Stabile Assai: teatro impegnato e di qualità fatto da detenuti contro l’angoscia del presente

 

La detenzione in Italia, mediamente più lunga rispetto alla maggior parte degli altri paesi europei, è qualcosa di assai stabile per parecchi prigionieri. Da questa constatazione, forse, è nata l’idea ironica di chiamare Compagnia Stabile Assai il collettivo teatrale composto da detenuti della casa di reclusione romana di Rebibbia.

Questa Compagnia, pur avendo avuto delle trasformazioni nella propria composizione interna, è talmente stabile da costituire la più vecchia formazione teatrale italiana creatasi in carcere.

Nata nel 1982 su pionieristica e coraggiosa spinta dell’educatore e musicista Antonio Turco, ha debuttato il 5 luglio dello stesso anno al Festival di Spoleto con la messa in scena di “Sorveglianza Speciale” di Jean Genet. In seguito si è contraddistinta per la produzione di opere originali, dedicate a temi del diritto, della vita sociale e della memoria collettiva: ad esempio la critica all’ergastolo (“Fine pena mai”), la follia (“Nella testa un campanello”), la questione meridionale (“Carmine Crocco”), la multietnicità (“Nessun fiore a Bamako”), storie di pirati nel Meridione del ‘700 (“Correnti”, assieme a Tarantula Rubra e al gruppo musicale “Terapia d’urto” della casa di reclusione Rebibbia ), un viaggio attraverso secoli di emarginazione tutta italiana (“Tutti i colori della notte”, proposto al Parioli di Roma e premiato con il “Cardarelli” a Tarquinia, da Maurizio Costanzo, come “migliore produzione teatrale dell’anno”).

Lo spettacolo più recente, la cui prima si è avuta martedì 15 gennaio al Parioli (vedasi per le repliche: www.teatroparioli.it ) è invece intitolato “E… (pacchetto Teatro Therapy)”.

 

In tempi di strani “pacchetti di sicurezza”, di fasulle emergenze securitarie, di scarsa sensibilità politica e giornalistica rispetto ai temi del diritto e della sicurezza sociale, è molto utile vedere e far conoscere questo prodotto artistico e culturale della Compagnia Stabile Assai.

Scritto da Antonio Turco e Antonio Lauritano e con la regia di quest’ultimo, è uno spettacolo con detenuti come Massimo Tata e Gaetano Campo che fanno gli attori.

La sua trama è sostanzialmente basata sulla complessa vita di Massimo, il protagonista, un detenuto che fa il portiere durante una partita di pallone in carcere.  

Si tratta di una partita finale, fra una squadra di prigionieri ed una di persone esterne al mondo carcerario, con le ansie di una metaforica e parallela situazione da cui dipende il futuro stesso del protagonista.

Massimo riesce a parare due rigori e in quei momenti rivede le persone care che gli sono state vicine durante la carcerazione: la madre e gli amici.

Lui però non riesce a parare altri due rigori e in quei momenti avverte la presenza di altre persone: la moglie che lo ha abbandonato e il padre di una vittima che da tempo lo vorrebbe incontrare.

Due a due, una perfetta parità. Al “novantesimo” minuto però l’Arbitro fischia un rigore. La partita non è ancora finita. Massimo ha un ultimo incontro; sente crescere la propria tensione. Deve cercare di parare il rigore. Il futuro della sua vita dipende dalle sue mani, dalla sua  capacità di non far entrare il pallone nella rete. Come andrà a finire?

La vita di un detenuto “stabile assai” giunge ad un certo momento, dopo molti anni, ad un’analoga partita finale di cui nessuno può fare pronostici relativamente sicuri. Questa partita, nella realtà concreta, vede ancora alzato il vessillo di quell’angoscia di cui, con forza memorabile, parla “Spleen” di Baudelaire. Il diritto sicuro e automatico non esiste. Vige piuttosto la sicurezza dell’incertezza del diritto. Il risultato può essere positivo o negativo. Nessun comune mortale si troverebbe a proprio agio in una situazione così kafkiana.

La Compagnia Stabile Assai ci fa quindi riflettere sulla condizione esistenziale di chi riceve la con/dannazione della pena carceraria.

Nata in carcere, la Compagnia Stabile Assai porta all’esterno, con un teatro impegnato e di buona qualità, critiche fattive alle logiche securitarie e ai discorsi secondo cui non dovrebbero esistere alternative alle prigioni per rispondere alle trasgressioni delle regole sociali..

Anche molti operatori che da tempo lavorano in carcere sanno benissimo quanto sia necessario e costruttivo realizzare percorsi e contesti alternativi al carcere stesso.

La produzione artistica e culturale della Compagnia Stabile Assai, ormai conosciuta in molti teatri di tutta Italia, è la dimostrazione vivente di quella saggia e lungimirante presa di coscienza.   

                                                                                                                          Sandro Padula

«Magnifico Rettore, con queste poche righe desideriamo portarLa a conoscenza del fatto che condividiamo appieno la lettera di critica che il collega Marcello Cini Le ha indirizzato sulla stampa a proposito della sconcertante iniziativa che prevedeva l’intervento di papa Benedetto XVI all’Inaugurazione dell’Anno Accademico alla Sapienza. Nulla da aggiungere agli argomenti di Cini, salvo un particolare. Il 15 marzo 1990, ancora cardinale, in un discorso nella città di Parma, Joseph Ratzinger ha ripreso un’affermazione di Feyerabend: “All’epoca di Galileo la Chiesa rimase molto più fedele alla ragione dello stesso Galileo. Il processo contro Galileo fu ragionevole e giusto”. Sono parole che, in quanto scienziati fedeli alla ragione e in quanto docenti che dedicano la loro vita all’avanzamento e alla diffusione delle conoscenze, ci offendono e ci umiliano. In nome della laicità della scienza e della cultura e nel rispetto di questo nostro Ateneo aperto a docenti e studenti di ogni credo e di ogni ideologia, auspichiamo che l’incongruo evento possa ancora essere annullato».

Questo, in sostanza, il testo a firma di 67 scienziati e docenti dell’Università “ La Sapienza ” al rettore della stessa. Un testo che vuole contestare la presenza di Ratzinger all’inaugurazione dell’Anno Accademico, una presenza che non poteva non andare incontro a polemiche.

Credo che sia il minimo prezzo che il pastore tedesco possa pagare alla sua ormai ben nota visione del rapporto tra fede e scienza. Prova ne sia la sua affermazione a proposito di Galilei, richiamata nel testo della lettera al rettore. E ancora, le sue dichiarazioni e prese di posizione contro le varie conquiste scientifiche, anche quelle che nel nostro clericale Stato sembravano ormai indiscutibilmente acquisite.

Proprio negli ultimi giorni c’è stato chi, come la signora Binetti (famosa per osservazioni quali: “Gli omossessuali sono deviati”), ha voluto addirittura proporre una revisione della legge sull’aborto. Puntuale Veltroni, il quale ha dichiarato di essere favorevole all’apertura di un dibattito sul tema.

Intanto, in merito alla protesta degli scienziati, Radio Vaticana parla di “iniziativa censoria”.

E io, allora, già me li vedo questi docenti di fisica che, deposti i loro strumenti di ricerca, si mettono ad indossare l’abito del censore, dell’inquisitore, del boia, del controriformatore. È una strana coincidenza quella che, trovandomi a parlare di censura, non riescano a venirmi in mente altri termini che non richiamino in alcun modo ad un triste passato vissuto dalla chiesa, un passato che il nuovo Pietro sembra determinato a riattualizzare.

I compagni dei collettivi universitari della Sapienza organizzano quattro giorni di protesta nell’area dell’Ateneo, una protesta tesa ad affermare ancora una volta l’esigenza di un’Università laica, libera dai padri e dai preti, un’Università che si ribella alla santa alleanza dell’Inquisizione.

Gli studenti universitari cattolici organizzano, invece, una veglia di preghiera in attesa dell’evento, in attesa del loro “messaggero di pace”, come ha voluto definirlo il rettore per controbattere alle polemiche degli studiosi.

Incredibile davvero il potere dei media: basta mandare quotidianamente in onda un discorso del papa per renderlo un costruttore di pace.

E poi… che carisma, che frasi! Si va dal tipo: “L’uomo deve impegnarsi per realizzare la pace” a “La guerra è il male assoluto”, sino ancora a “La guerra non può essere la soluzione di un’incomprensione”.

Insomma, frasi ben meditate, frutto di abnegazione non priva di richiami filosofici. Non è così? Non sono frasi che nessuno di noi saprebbe pronunciare?

Oppure sono delle stronzate che ognuno di noi saprebbe dire senza apparire ogni giorno sullo schermo e senza essere mai andato al catechismo?

C’è gente che dedica l’intera vita alla ricerca della soluzione di un conflitto, dalla Palestina all’Africa, dal Sud America al Sud-Est asiatico.  C’è gente che viene ammazzata per questo dopo tutta una vita passata nel silenzio dell’opinione pubblica, gente che sola meriterebbe l’appellativo di “messaggero di pace”.

Non bastava, allora, che gli studenti universitari cattolici continuassero pure a pregare per il loro Re, senza per questo costringere decine e decine di migliaia di studenti a turarsi anche per un sol giorno le orecchie nel luogo dove pagano per imparare qualcosa?

Raffaele Emiliano

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  Anno nuovo,  vecchie emergenze!Il

Il comitato cittadino, alla luce dei fatti degli ultimi giorni, intende ribadire quanto ormai da un anno sostiene con fermezza: non può essere né l’urgenza, né l’emergenza a dettare le decisioni importanti che la politica deve assumere in un territorio, a vantaggio esclusivo dei cittadini che lo abitano!

Sebbene siamo assolutamente convinti che il vincolo di solidarietà del popolo italiano sia una ‘condizio sine qua non’ perché il nostro è e vuole essere un Paese civile e solidale, tuttavia rigettiamo ogni decisione presa con la pancia e dettata dalla paura.

Ci sorprende sentire le ultime determinazioni del Presidente della Provincia e ci rifiutiamo di credere che si possa pensare alla costruzione di un qualunque termovalorizzatore nella provincia di Brindisi, in un territorio da troppo  tempo incapace di gestire la situazione dei rifiuti del territorio, a qualunque livello.

In un territorio che, benché diviso in due ambiti di ottimizzazione, per cui, teoricamente, ognuno deve provvedere a se stesso, nella realtà la discarica di Francavilla accoglie i rifiuti di oltre 300.000 persone e quella di Brindisi di poco meno di 100.000.

In un territorio in cui ogni decisione presa in regime d’emergenza e, quindi, teoricamente, temporanea, diventa in concreto un decisione permanente, fino alla prossima emergenza.

In un territorio in cui una programmazione seria, con tempi, azioni e attori descritti e definiti senza ombra di dubbio non si è mai vista.

Ci sorprende leggere di prese di posizioni finanche aggressive da parte di rappresentanti delle massime istituzioni dello Stato (onorevoli e senatori), che dopo un lunghissimo e colpevole silenzio sui fatti relativi a Francavilla Fontana, riscoprono una anima ambientalista, dimentichi che questa situazione è il frutto di lunghe e reiterate mancanze di responsabilità e rispetto dei cittadini.

Il problema dei rifiuti non si risolve bruciando, ma differenziando.

E la responsabilità delle inadempienze non è dei cittadini cattivi, ma delle amministrazioni inadempienti e pigre.  Tanto per usare eufemismi.

L’emergenza rifiuti è oggi emergenza, ma ieri era un problema da gestire in modo intelligente ed onesto

Per tornare ai fatti più meramente francavillesi…

L’emergenza non può farci dimenticare che a Francavilla la discarica è stata costruita a  ridosso del centro abitato, in zona comunque urbanizzata.

L’emergenza non può farci dimenticare che la gestione di quella discarica è tutta ben al di fuori delle regole certe di utilizzo sicuro.

L’emergenza non può farci dimenticare che nessun ente, benché preposto a controllo, ha mai effettuato i controlli medesimi, rendendone conto ai cittadini. Ed infatti, il comitato ha richiesto ufficialmente i risultati dei predetti eventuali controlli, ben oltre 7 mesi fa.

Controlli su acqua, aria, sottosuolo e sulla catena alimentare: nessuna risposta.

Siamo in presenza di chiare e reiterate inadempienze da parte non solo di Regione, Provincia, Comune, Arpa, ma anche da parte della ASL di riferimento; anche su questo occorre fare piena luce.

I cittadini intendono sapere chi deve fare cosa, ma soprattutto chi non ha fatto cosa e perché!

Nei prossimi giorni il comitato cittadino indirà una conferenza stampa, durante la quale saranno consegnate le firme raccolte nella petizione popolare e saranno ufficializzate le nuove iniziative che il comitato intende mettere in campo a difesa della città.

 

Francavilla Fontana, 14 gennaio 2008 Comitato Cittadino “Ambiente e Territorio”

Il nuovo anno si apre per Francavilla Fontana in un clima da bufera.

Non è che quello appena trascorso si fosse chiuso con scambi di baci e panettoni tra maggioranza e opposizione, ma certamente il nuovo nasce in maniera non meno critica per la giunta.

Sono, infatti, state presentate due diverse mozioni. La prima che reca la firma di Emanuele Modugno, verte sull’emergenza abitativa; la seconda, a firma di Cosimo Ammaturo, è un’accusa a tutto campo nei confronti della gestione della città.

Il consigliere Modugno (Rifondazione Comunista) sollecita il Sindaco, l’Assessore alle Politiche Sociali ed il Presidente del Consiglio Comunale all’elaborazione di un piano per l’edilizia sociale nel Comune di Francavilla, a causa della sempre più avvertita emergenza abitativa, che va dal caro-affitti agli sfratti.

Ha voluto altresì evidenziare la necessità di definire, a tale scopo, una politica sociale della casa recuperando il ruolo fondamentale dell’iniziativa pubblica per garantire una soluzione abitativa ai ceti sociali con redditi medio bassi, alle nuove povertà, ai giovani, una necessità che richiede una pianificazione chiara ed efficiente che sappia dare una soluzione pronta a tutte le soggettività sia nell’immediato che nel medio e lungo periodo. Forme di monitoraggio e di osservazione permanente sulle condizioni della realtà abitativa francavillese garantirebbero, infatti, un maggiore  controllo, sia nel privato, sia nella gestione degli immobili pubblici. Soluzioni che devono essere rapidamente pianificate.

Nella mozione si chiede, pertanto, al Consiglio Comunale di impegnare il Sindaco e l’Assessore alle Politiche Sociali a farsi promotori presso la Regione Puglia della costruzione di un tavolo interistituzionale fra Regione e Comune al fine di elaborare un vero e proprio piano di edilizia sociale per il comune di Francavilla.

Nell’altra mozione, invece, il consigliere Ammaturo prende in esame una serie di problemi riscontrabile nella città di Francavilla, dal settore dei lavori pubblici sino all’elemento più grave nel governo della cosa pubblica, ossia il problema della “Legalità Gestionale”, rispetto al quale va aperto un dibattito che riguardi tutti i settori con particolare riferimento al settore dell’apparato burocratico e della sua efficienza, della gestione delle finanze e del contenzioso, della gestione dell’ambiente e del territorio. Ammaturo dichiara che la città sta vivendo un momento di autogestione che sta portando ad una specie di autogoverno incontrollato da parte dei cittadini, di cui la pubblica amministrazione si ricorda solo al momento dell’inasprimento del prelievo fiscale.

Il consigliere, allo scopo di tentare di riportare un minimo contributo al dibattito sul ripristino della legalità nella nostra Città, chiede che si apra una serena discussione su ciò che il Consiglio Comunale possa fare per riprendere il controllo di una situazione degenerata e sfuggita ad ogni regola di civile convivenza. Ad esemplificazione di questo stato d’illegalità diffusa, segnala la situazione del Comando Vigili, un’isola inesistente, corrotta da mele marce al suo interno, incapace di gestire le problematiche cittadine, soggetta ad omertà ed autoritarismo: incapacità, arroganza, illegalità gestionale nell’applicazione delle norme del codice della strada, del PUT, della viabilità, delle norme edilizie, della lotta all’abusivismo, delle norme commerciali, di controllo del territorio e di ordine pubblico si coniugano con gravi fatti accaduti all’interno del disinteresse e nel silenzio più totale da parte di tutti e che potrebbero dirsi attinenti alla sfera privata se non avessero come protagonisti soggetti nell’esercizio delle proprie funzioni e nella sede di lavoro.

Ammaturo si fa portavoce di una città abbandonata che chiede il ripristino delle regole: non si può più circolare, parcheggiare, costruire con norme di riferimento chiare ed aggiornate, pagare le tasse con fiducia e non con sospetto, soprattutto pagarle tutti e secondo criteri di giustizia ed uguaglianza. L’abusivismo speculativo dilaga con fatti specifici su cui è sceso un muro di silenzio, di truffe organizzate che danneggiano la Pubblica Amministrazione , i permissivismi nei confronti di fatti speculativi mal si coniugano con la rigidità applicativa delle norme nei confronti dei più deboli, i ritardi e le prescrizioni danneggiano le casse comunali, senza avere mai una risposta.

Si chiede il ripristino della legalità, l’unico capace di far uscire i cittadini francavillesi da uno stato di profonda rassegnazione mai verificatasi prima d’ora.

Difficile per la maggioranza sfuggire alle importanti questioni lucidamente poste dai due consiglieri.

Ma c’è un altro vento che è entrato dirompente nella bufera di Francavilla 2008: è da poco giunta la notizia che ben 12 avvisi di garanzia sarebbero stati emessi nei confronti di altrettanti amministratori, accusati di abuso d’ufficio. Le indagini sarebbero partite da una denuncia che accompagnò una delibera di giunta del 30 marzo2007, inerente all’autorizzazione dell’impianto di biostabilizzazione dei rifiuti, quella delibera in seguito alla quale un componente dell’UDC si dimise dalla giunta.

E intanto il prossimo Consiglio Comunale è stato fissato per il 21 gennaio.

Raffaele Emiliano

“Ebbi ben presto abbastanza chiaro che il mio lavoro doveva camminare su due binari: l’ansia per la giustizia sociale e l’illusione di poter partecipare a un cambiamento del mondo. La seconda si è sbriciolata ben presto, la prima rimane.”      [Fabrizio De André]

L’11 gennaio di nove anni fa prendeva congedo per sempre da noi un uomo difficilmente definibile attraverso la sola etichetta di cantautore.

Ci dava il suo addio un uomo che non era soltanto un cantante e un grande musicista, ma un cantastorie, una di quelle figure lontane nel tempo che portano tra la gente la voce di chi non può parlare, degli emarginati.

Se ne andava per sempre il cantore degli ultimi, dei drogati, delle puttane, dei ribelli, di chi non viene accettato, di chi è fuori dal coro della normalità, dei (per dirla con parole sue) “servi disobbedienti alle leggi del branco”.

Chi nella società era messo ai margini, trovava nelle sue canzoni il posto centrale e privilegiato.

“Faber” lasciava quel giorno un vuoto all’interno della cultura italiana, un vuoto che ancora oggi resta.

La voce con cui trasformava le sue poesie in canzoni era una voce dal tono perennemente e incondizionatamente basso, il solo tono che si addice ai pensieri alti, quelli che non hanno bisogno di esser gridati per mostrare la loro verità.

I reietti, i perseguitati, i condannati trovavano nelle parole di Fabrizio il loro liberatore, il profeta che non ha mai smesso di credere nell’utopia dell’Anarchia.

Sono infinite le frasi che il cantautore genovese ha lasciato impresse nella memoria di chi lo amava e lo ama ancora. Sono frasi che ben si adattano a situazioni e avvenimenti che sono e sempre saranno attuali.

Dopo la sua morte, dopo soli due anni, nella sua città, la Genova da lui sempre amata, col porto e le mille viuzze del centro storico (tra le quali Via del Campo, da lui eternamente immortalata), succedeva quello che tutti conosciamo. Sarebbe stato bello possedere un testo in cui Fabrizio avesse potuto parlare di quei fatti, dei pestaggi e delle violenze. Anche se ciò non è stato possibile, lui stesso in una sua vecchia canzone, pronunciava una frase che ben vi si sarebbe riadattata: “ci cercarono l’anima a forza di botte”. Poche parole che racchiudono l’intero senso di quella tragedia.

Si potrebbero spendere mille altre parole sul suo pensiero, un pensiero che dalla sua morte ad oggi sta per fortuna trovando una più giusta attenzione, a cui si aggiunge una sempre più forte volontà di considerare molti suoi testi come veri esempi di poesia, quali essi indubbiamente sono.

Potremmo parlare di canzoni simbolo della sua lotta alla guerra, potremmo spendere due parole sulla rilettura che De Andrè faceva dei testi sacri, quei testi su cui la Chiesa ha speculato nel corso della sua storia, traendone fortuna e la maggior fonte di credito presso i fedeli. Il suo sarcasmo tagliente nei confronti del clero trovava tuttavia fondamento in una sua personale filosofia cristiana, capace di creare una così forte e meditata idiosincrasia.

Sarebbe difficile trovare una causa sociale che non sia stata anche solo sfiorata da quel disincantato “flagello dei principi” e dei signori perbenisti, il libertario Fabrizio De Andrè, colui che insegnava la strada battuta da pochi, la strada da percorrere “in direzione ostinata e contraria”.

Ho voluto rendere omaggio a colui che per me e per tanta gente, giovani e adulti, rappresenta un simbolo, un riferimento culturale, sacrificando sul blog uno spazio che avrebbe potuto essere occupato da un articolo di più stretta politica. Ho creduto, tuttavia, che fosse giusto farlo, come credo sarebbe giusto che ogni città avesse tra i tanti nomi di vie, anche quello di Fabrizio.

Niente più che un giusto tributo.

Raffaele Emiliano

 

 

Che differenza passa tra Napoli e Francavilla Fontana? Cosa separa un cittadino di Pianura da uno  di Francavilla?

Non mi riferisco, ovviamente, a fattori di natura puramente geografica.

Credo che ci sia qualcosa che differenzi ancor più le due realtà a livello delle rispettive comunità di cittadini.

Partiamo da un dato di fatto: sia a Napoli che a Francavilla si avverte un grosso problema, un’emergenza.

I rifiuti, il loro smaltimento, le discariche sono al centro dell’informazione in questo primo squarcio d’anno.

Certo, la situazione a Napoli non rappresenta solo un’emergenza, ma una crisi, una catastrofe. È l’atto conclusivo di una pessima gestione amministrativa in materia di rifiuti.

Un atto conclusivo, dunque, il punto di approdo inevitabile di anni e anni di deliberato disinteresse nei confronti di una comunità, di una città, dei suoi cittadini.

Già, perché a Napoli non è che si producano più rifiuti che a Milano o Torino. Non è che i napoletani siano più sporchi o mangioni dei bolognesi o dei veneziani.

I rifiuti sparsi, quelle montagne di rifiuti a ridosso delle strade e delle case non sono altro che la vergogna degli amministratori, quegli amministratori che sottomettono il bene di una comunità agli interessi di un pugno di sciacalli.

Potreste, allora, dirmi: ecco, un’altra differenza; qui a Francavilla sacchi di spazzatura non se ne vedono per le strade, nessuno incendia i rifiuti, nessuno si ribella contro una discarica.

Volevo arrivare proprio qui, non tanto per evidenziare il fatto che a Francavilla i sacchi dei rifiuti vengano gettati nel cassonetto anziché sulla strada, comportamento dettato ai napoletani non da malcostume, ma evidentemente dalla mancanza di posto all’interno dei cassonetti.

La vera diversità che mi preme sottolineare è, invece, l’atteggiamento dei cittadini di Pianura davanti a questo dramma che colpisce un po’ tutto il Sud Italia, con picchi nelle zone ad alta concentrazione malavitosa (beffarda coincidenza, questa).

A renderli così diversi da noi, a spingerli alla costituzione di presidi, alla protesta ad oltranza, al rifiuto di una discarica, quella, che non vogliono neanche in una situazione drammatica come l’attuale, ad incendiare addirittura i rifiuti (atteggiamento estremo e assolutamente non auspicabile, dato il rischio diossina), a spingerli a tutto ciò è qualcosa che evidentemente ci manca.

Ci manca la coscienza del pericolo a cui sono sottoposti la nostra salute e il nostro ambiente, ci manca il vero concetto di cittadinanza attiva. Si tratta di condividere una stessa consapevolezza, quella del bisogno di essere uniti davanti al malaffare, un malaffare come quello legato ai rifiuti, che, come pochi altri, è capace di incidere in maniera così devastante sulla nostra salute.

La volontà dei cittadini di Pianura a resistere all’apertura di quella discarica a ridosso delle loro case anche in un frangente di crisi dello smaltimento dei rifiuti come quello che stanno vivendo, è un forte segnale di lotta, quella lotta di cui altrove ci si potrebbe ricordare solo una volta arrivati a quel punto di approdo, incarnato oggi dalla Campania.

Notate differenza tra i blocchi stradali dei manifestanti a Napoli e i non più di dieci francavillesi che si riuniscono ogni settimana al comitato contro l’ennesima discarica, quel mostro situato proprio affianco alle nostre case?

Eppure siamo capaci di provare ribrezzo per la situazione di Napoli.

 Tra disgusto e compassione, tra una smorfia e un sorriso dettati da un nostro presunto superiore  grado di civiltà (sempre presente quando si parla di Napoli) riusciamo a provare davanti al televisore quel ribrezzo che ci fa dimenticare della situazione potenzialmente non meno tragica in cui anche noi viviamo, illudendoci della positività del fatto che se noi stiamo male qualcuno è messo peggio.

Raffaele Emiliano

Finalmente sembra possibile dare un volto e un nome, scoprire un’ infamia, punire un vigliacco.

Avevamo smesso di crederci, per un attimo ci eravamo convinti dell’inutilità di una denuncia, della normalità di un attentato a un partito, (guarda caso) il nostro.

Eppure stavolta qualcosa non ha funzionato nell’ennesimo “gioco della porta”.

C’era da aspettarselo, forse.

Non era poi così brillante l’idea di compiere un attacco in pieno giorno, tra le 2 e le 3 del pomeriggio; e poi di sabato, quel sabato 29 dicembre, ultima giornata della festa de “ la Sinistra ”.

Ragazzi, avevamo invitato al dibattito anche la parlamentare PRC Donatella Duranti. E scusate, ma voi non sapevate che Donatella, una volta saputo dell’attentato, poteva fare una telefonata per informarne addirittura il Ministero degli Interni? In effetti all’undicesimo attentato si comincia a fare notizia anche in alto. E se lei chiama? Qualcuno risponde. Ed ecco che ti arrivano in Corso Umberto pattuglie di Carabinieri e persino la Digos (da non crederci!!!); ma non è finita qui: troviamo in persona nella sezione anche il questore Salvatore Margherito.

Però! Forti questi parlamentari!

Senza arrivare a chi siede in Parlamento, può anche accadere che sia un semplice cittadino, magari un passante, a testimoniare alle forze dell’ordine di aver visto qualcosa o qualcuno: magari di aver visto quattro persone con scooter e caschi, a fare anche i “pali” ai due capi della strada per controllare che nessuno passasse di lì.

Ragazzi, un consiglio: se volete fare una cosa metteteci più passione e più cura, non fidatevi solo del silenzio e della mal celata protezione del vostro Mister X. Altrimenti, vale la pena continuare a servire ancora la dea Vigliaccheria?

Qualcuno diceva “tattica, strategia, abnegazione”.

Ecco, quello che vi manca.

Raffaele Emiliano

1007be3de95706bb0b6c358bf73195a6.svg Stasera ultimo appuntamento a “Cento Passi”

Grossa partecipazione abbiamo registrato nei primi due giorni de “ la Sinistra in festa”.

La festa, attesa da tempo e alla cui realizzazione hanno dato il loro contributo i quattro partiti che sono entrati a far parte di questo nuovo soggetto politico (Rifondazione Comunista, Sinistra Democratica, Comunisti Italiani, Verdi) ha visto in queste prime due serate lo svolgimento di due diversi dibattiti: nella prima serata, intorno al tema della Sinistra  e del rapporto dei giovani con essa, si sono avuti gli interventi, oltre che del sottoscritto (Giovani Comunisti – PRC), anche di Nico Cleopazzo (Giovani Comunisti – PRC), Maria Passaro (dirigente SD) e Pablo Zito (coordinatore provinciale SD); la serata di ieri è stata invece incentrata sul tema della città, dell’ambiente e della salute, alla cui discussione hanno preso parte, tra gli altri (presente anche Legambiente), Michele De Palma (segreteria nazionale PRC), Eugenio De Simone (coordinatore SD), Tani Roma (assessore provinciale Bilancio), Antonio Gaglione (sottosegretario Ministero della Salute), Michele De Filippis (segretario provinciale Comunisti Italiani), Renato Greco (segretario provinciale Verdi).

Questa sera il soggetto della discussione sarà “Di lavoro si muore, perché di precarietà si vive”, una frase che porta con sé due grosse problematiche: le morti bianche e la precarietà. Altre personalità del mondo politico (attendiamo tra gli altri il presidente della provincia Michele Errico e la parlamentare PRC Donatella Duranti) ci presenteranno la problematica in questione. Come le precedenti serate, anche quella odierna vedrà seguire al dibattito un concerto musicale, a cui si auspica una forte partecipazione giovanile.

Un dato, comunque, è emerso da tutte queste serate: la necessità improrogabile di avere un soggetto forte a Sinistra, specie in una realtà monocolore come Francavilla Fontana. Una speranza aleggiava anche tra le parole, oltre che mie, di qualche altro intervenuto al dibattito: la speranza che quella che sta nascendo sia una Sinistra che rechi con sé tutte le tematiche che da sempre le appartengono, tematiche che, se trascurate, porterebbero ad uno svuotamento di significato del nuovo soggetto politico unitario, oltre che ad una disaffezione dei propri militanti.

La lotta deve essere, pertanto, in direzione contraria a ciò.

Speriamo bene…

Raffaele Emiliano

  Petizione Fiat

All’attenzione di :

Procura della Repubblica di Melfi
Amministratore Unico FIAT Sergio Marchionne
Ministro dello sviluppo economico Pier Luigi Bersani
Ministro del Lavoro Cesare Damiano
Segretario Generale della CGIL Guglielmo Epifani
Segretario Generale della CISL Raffaele Bonanni
Segretario Generale della UIL Luigi Angeletti
Segretario Generale FIOM Gianni Rinaldini
Presidente della Regione Basilicata Vito De Filippo
Assessore alle Attività Produttive Regione Basilicata Donato Salvatore

Grazie alle ricerche sul campo messe in atto per costruire lo spettacolo “FIATo sul collo i 21 giorni di lotta degli operai di Melfi” e alla amicizia nata con molte operaie ed operai della Fiat Sata di Melfi, sono stato informato di fatti gravi a cui bisogna porre fine.

-VISTO che la Procura della Repubblica di Melfi sta svolgendo indagini nei confronti di 17 persone tra delegati sindacali e operai Fiat che parteciparono alla Lotta dei 21 giorni e che sono stati denunciati penalmente per aver partecipato ad una battaglia per l’affermazione della dignità nel lavoro: per la cancellazione della doppia battuta (12 giorni lavorativi notturni per contratto); per l’equiparazione salariale agli altri stabilimenti Fiat d’Italia e per la cancellazione dei 5.000 provvedimenti disciplinari redatti dalla Fiat negli ultimi due anni;

SI CHIEDE:

L’ARCHIVIAZIONE DELLA PRATICA IN QUANTO TUTTI GLI OPERAI IN SCIOPERO E LA GENTE COMUNE ACCORSA IN SOSTEGNO DEI MEDESIMI HA AVUTO COMPORTAMENTI CIVILI E NON VIOLENTI.

-VISTO che nella fabbrica Fiat-Sata di Melfi, dove lavorano più di 5.000 operai, sono accaduti incidenti, molti dei quali durante il turno di lavoro notturno, e visto che nel medesimo turno molti operai hanno accusato malesseri e non hanno avuto a chi rivolgersi dal momento che alla Fiat-Sata di Melfi, unica fabbrica automobilistica d’Europa, non è prevista la presenza di un “MEDICO DI GUARDIA NOTTURNO”,

SI CHIEDE:

-LA NOMINA DI UN MEDICO “NOTTURNO” AFFINCHE’ GLI OPERAI, NEL CASO DI MALANNI O INCIDENTI, POSSANO ESSERE ASSISTITI IMMEDIATAMENTE E SI CHIEDE CHE IL MEDICO VENGA NOMINATO DI COMUNE ACCORDO TRA LE PARTI: AZIENDA E SINDACATO;

-SI CHIEDE INFINE CHE L’AZIENDA FIAT RISPETTI GLI ACCORDI STIPULATI CON IL SINDACATO.

 

Colgo immediatamente l’invito rivoltomi da Massimo Zaccaria, che ringrazio anche per l’ottima lettura teatrale de “Il minotauro” che ieri sera ci ha regalato alla Festa della Sinistra.

Ho voluto riportare il testo della petizione Fiat Melfi. Invito, dunque, tutti coloro che visitino questo blog a firmare la presente petizione sul sito www.uldericopesce.com , ricordando di lasciare anche un commento, seppur minimo, senza il quale la firma non sarebbe valida.

Siamo vicini agli operai in lotta.

Siamo al fianco di tutti i lavoratori che a Melfi, Taranto e altrove, vengano derubati della propria dignità e dei propri diritti.

Raffaele Emiliano

 

La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea: una critica in più al “fine pena mai”

di    Sandro Padula

 

La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, il cui progetto fu già sostenuto nel novembre 2000, è stata approvata dal parlamento europeo il 29 novembre 2007 e proclamata dal suo Presidente il 12 dicembre, il giorno prima della firma a Lisbona del Trattato di riforma dell’Unione. Si è dischiuso così un nuovo capitolo nella storia del diritto.
Tale Carta ribadisce i diritti originati dalle tradizioni costituzionali e dagli obblighi internazionali comuni agli Stati membri, dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali, dalle carte sociali adottate dall’Unione e dal Consiglio d’Europa, dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea e da quella della Corte europea dei diritti dell’uomo.
Con questa Carta si riconosce che la Corte europea dei diritti dell’uomo e la relativa Commissione, pur essendo istituzioni distinte, per storia e partecipazioni internazionali, da quelle specifiche dell’Unione Europea, sono significativi punti di riferimento per la salvaguardia dei diritti fondamentali.
I cittadini dei paesi aderenti all’Unione Europea possono quindi fare ricorsi anche alla Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU), che ha sede a Strasburgo, per difendere i propri diritti o possono rivolgersi alla collegata Commissione per fare in modo che quest’ultima approfondisca l’analisi delle situazioni in cui vengono calpestati quei diritti basilari.
Un motivo di ricorso alla CEDU o di richieste di supporti analitici alla collegata Commissione è ad esempio la questione dell’ergastolo.
Il 12 novembre Thomas Hammarberg, Commissario europeo per i diritti umani (Office of the Commissioner for Human Rights, Council of Europe, F-67075 Strasbourg Cedex, FRANCE; telefono
+ 33 (0)3 88 41 34 21; fax + 33 (0)3 90 21 50 53; indirizzo mail: commissioner@coe.int ), ha ricordato che vi sono due significativi casi relativi alla pena dell’ergastolo pendenti davanti alla Grande Camera della Corte europea, la cui decisione offrirà importanti linee guida per l’interpretazione della CEDU in questa materia. Inoltre ha precisato che “è necessario un riesame in merito al ricorso all’ergastolo” poiché tale pena ha spesso un impatto pesante sul trattamento dei prigionieri e a volte non si tratta di altro se non di una risposta ad una richiesta popolare di vendetta. In altre parole, il Commissario europeo per i diritti umani ha criticato l’esistenza dell’ergastolo e tale critica diventa tanto più forte, dal punto di vista dei cittadini dell’Unione, sulla base dell’integrazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea nel Trattato firmato a Lisbona.
Tale Carta contiene dei diritti (vedasi articoli 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 49) che implicitamente sono antitetici soprattutto in relazione all’esistenza dell’ergastolo.
L’ergastolo infatti calpesta la dignità umana (art. 1) perché costituisce una delle massime e dure espressioni contemporanee dell’antico rito del “capro espiatorio” e del moderno monopolio statuale della vendetta; è una vita senza vita sociale e quindi senza effettivo diritto alla vita (art. 2); minaccia l’integrità fisica e psichica (art. 3) di chi lo subisce, specialmente se è aggravato da dure forme di isolamento nel carcere (come in Italia il 41 bis o l’Elevato Indice di Vigilanza) che quasi sempre negano la possibilità di usufruire di benefici come la libertà condizionale; è una specifica forma di trattamento inumano e degradante (art. 4); è ciò che Cesare Beccaria chiamava “pena di schiavitù perpetua” e pertanto è di per sé un fattore ostativo rispetto alla “proibizione della schiavitù e del lavoro forzato” (art. 5, un articolo che dovrebbero imparare a memoria coloro che, analfabeti e antieuropei come sono, vorrebbero proporre il lavoro forzato ai detenuti!!!!); è un micidiale attacco nei confronti del diritto alla libertà e alla sicurezza (art. 6); è l’eliminazione del diritto al rispetto della propria vita privata e familiare (art. 7); è l’impossibilità di avere il diritto alla protezione dei dati di carattere personale (art. 8); è la pena che, disarticolando le dirette relazioni affettive e comunicative, più ostacola il diritto di sposarsi e di costituire una famiglia (art. 9); è una pena irrispettosa della libertà di coscienza (art. 10) perché, di fronte alla totalità delle persone condannate per un grave reato come l’omicidio, è subita esclusivamente da una piccola minoranza di tali persone, da persone che non si sono avvalse delle leggi a favore di “pentiti”, “dissociati” o “patteggiatori”; è una pena che, essendo per altro infinitamente sproporzionata in senso peggiorativo rispetto ai livelli standard de numerosi sistemi penali nell’Unione Europea ( pena detentiva massima di 20 anni), risulta in netto contrasto nei riguardi del terzo comma dell’ articolo 49 secondo cui “le pene inflitte non devono essere sproporzionate rispetto al reato”.

L’ergastolo, oltre a non essere rispettoso dell’articolo 27 della Costituzione italiana che prevede la finalità riabilitativa e risocializzante di tutte le pene detentive, è quindi l’esatto contrario di ciò che dovrebbe essere tutelato dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. E questa Carta sarà vincolante per chi – ad eccezione di Regno Unito e Polonia che hanno ottenuto un “opt out” per quanto riguarda la sua applicazione nella giurisprudenza nazionale – ha firmato il Trattato a Lisbona!

Il Trattato dovrà passare le ratifiche nazionali per poi entrare in vigore nel 2009. Nel frattempo l’Italia farebbe bene ad accelerare i tempi per ratificarlo e per adeguare la giustizia e i linguaggi politici e giornalistici al rispetto della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea!

Non è mai inutile una critica in più per dire basta con la pena di morte invisibile, camuffata e prolungata costituita dall’ergastolo!