… La vittoria nelle urne si costruisce con le alleanza di più movimenti sociali e civili fuori dalle urne. Ma adesso si può e si dovrebbe agire anche nelle piazze, senza aspettare il voto, anche perché il voto è dietro l’angolo. Probabilmente non basteranno campagne di informazione anti questo e anti quello. O meglio le campagne serviranno nella misura in cui su di esse si riusciranno a innnestare un dibattito generale tra cittadini e una conseguente maturazione di scelte consapevoli e non improvvisate ed estorte con la propaganda e il tifo calcistico-politico…

Il marketing politico e gli spin doctor di turno assoldati dai partiti faranno di tutto perché tutto ciò (dibattito maturo e informato, scelte consapevoli) non avvenga, ovviamente, e probabilmente ci riusciranno perché laddove ci sono i soldi c’è anche il potere di condizionare e informare anche se in modo scorretto. L’esperimento in corso M5S potrebbe smentire questo assioma legato al finanziamento pubblico dei partiti, e in parte lo smentisce, ma appunto è ancora in corso e non si sa se approderà su una sponda di effettivo poter fare o meno.

… Le scelte avventate dai cittadini compiute sotto l’effetto della fretta, della disperazione, magari durante le campagne elettorali, drogate dalla propaganda spinta, hanno l’inconveniente di sgonfiarsi come soufflé mal riusciti alla prima contro-campagna pilotata o al primo calo di tensione politica. Ad esempio si percepisce che il soufflé cucinato da Grillo e dal suo movimento si sia in parte sgonfiato a causa delle randellate esterne (ma anche a causa di alcuni errori interni) e ci vorranno altre infornate per riportarlo al suo turgore di massima e anche oltre, è improbabile che gli riesca di uguagliare il 25 % o addirittura superarlo.. Intanto la sinistra (e i vari movimenti di area) si lecca le ferite, si riorganizza come può e attende tempi migliori.

Nel frattempo sembra sia diventato chiaro (anche al M5S che nutriva speranze di Democrazia Parlamentare e di cambiamento dai banchi dell’opposizione) che questa Democrazia Rappresentativa è solo una tecnologia di governo e di potere autocratico più raffinata delle altre. La continuazione della Oligarchia con altri mezzi. Forse un piccolo progresso rispetto al passato, ma sopravvalutato e sbandierato come una grande conquista. In realtà tale recente tecnologia di governo funge da strumento mimetico delle Cleptocrazie diffuse nel Paese. Una tecnica politica (politiké techné, in greco, cioè arte di governo della polis, in sè la locuzione non avrebbe alcun connotato etico, lo strumento può essere usato e abusato in tutte le direzioni) che si mimetizza sotto le spoglie formali della democrazia, ma mima nella sostanza e nelle varie sub-articolazioni i sistemi autocratici. Il Potere è un Attore che recita in una Rappresentazione su grande scala e indossa molte Maschere quando va in scena. Il Parlamento è il Palcoscenico principale, ma esistono ben altri “parlamenti”, campi di gioco e quinte in cui parlamentare e contrattare ciò cui si tiene senza alcuna maschera scenica.

Non solo. La parola “Democrazia” è anche uno stratagemma linguistico. Un puro espediente semantico, roba colta e coltivata nei secoli. La Cultura in senso lato, del resto, può essere strumento raffinato di potere. Non a caso non possono governare – nel bene o nel male – che le elite culturali, coloro che hanno gli strumenti e le competenze, cittadini inclusi, ma solo nella misura in cui si smuovono per acquisire un minimo di conoscenze e competenze per cercare di partecipare alle decisioni. Ma questo lavoro e questo lusso non è sempre alla portata di tutti perché la cultura e le competenze presuppongono benessere economico acquisito o acquisibile. Chi non ha i mezzi non può avere le competenze, chi non ha le competenze non può e non sa scegliere in situazioni complesse cosa è meglio per sè e per la propria comunità. Risultato: ci si affida a delegati esperti o presunti tali, i quali delegati fanno cartello tra loro per curare gli interessi delle loro ristrette cerchie tanto tu cittadino non te ne accorgi e credi che siano gli uni alternativi agli altri e lo sono pure, nel senso che le elites si contendono il potere tra loro sulle teste di chi le elegge. La Democrazia materiale o “reale” (al pari del “Socialismo reale” che definiva per l’Urss la versione applicata e “sporca” del Socialismo teorico dei testi canonici marxisti) non quella narrata e idealizzata nei testi dottrinali o nella Carta Costituzionale, è la contesa di risorse fra elites economiche e culturali emergenti o consolidate. In sostanza i principi darwinisti della lotta per le risorse di un territorio valgono anche per le società umane.

Espedienti raffinati dunque. Come la Carta Costituzionale del resto. Non che i padri costituenti non fossero in buona fede, lo erano in parte e glielo hanno lasciato fare. Carta sempre auspicante e augurante, uno strumento potenziale e mai attuale e attuato. Non viene il sospetto che anche questa esposizione esibizionistica di articoli e commi sia una tecnica (consapevole o meno) sedativa e lenitiva di potere e di governo? Come per i tribunali in cui si legge: La legge è uguale per tutti. Basta vedere l’estrazione sociale di chi abita le carceri per capire se questa massima è attuata o meno. Tecniche semantiche e turlupinanti di autocrazia. Nel linguaggio comune si può tranquillamente tradurre con: presa per i fondelli. Come per la Costituzione. L’Italia è un Paese democratico perché ha una buona costituzione? No, l’Italia non è un Paese democratico proprio perché ha una discreta Costituzione, una Costituzione-fantoccio però, che è sempre stata violata fin dal primo giorno della sua entrata in vigore senza che nessun governo o istituzione si siano prodigati più di tanto per rimuovere concretamente gli ostacoli strutturali alla sua attuazione, ed esiste pure un perché evidente ma spesso sottaciuto.

La data di nascita della società italiana non è il 1948. I rapporti di forza consolidati da secoli, le disparità strutturate nei millenni non si elidono con le formule, la realtà materiale non si fabbrica con le sole parole. La struttura sociale ed economica appunto. Questa sì che è determinante, non le formule e i commi consolatori e beneauguranti. La struttura. Ovvero le cose accadute nel corso del tempo, la storia e le storie, il possesso degli oggetti e degli strumenti di produzione, la prevaricazione concepita come merito, i rapporti di forza, le disparità economiche, la distribuzione fisica e geografica del reddito e del denaro. Ma non solo. La Costituzione è una profezia, un credo, una fede, una religione, una formula escatologica che preannuncia l’avvento del bene sulla Terra, la seconda venuta di un Cristo laico di giustizia, la celebrazione rituale scritta del paradiso in terra preannunciato alla fine dei tempi. Molto più prosaicamente: uno strumento auto-assolutorio (un po’ come la confessione) un contratto di comodo con pochi strumenti sanzionatori concreti ed effettivi in caso di inadempienza, dato che l’unico strumento valido per attuarla sarebbe semplicemente (se non latitasse) la volontà politica.

Infatti la traduzione dei principi della Costituzione in atti concreti è affidata alle leggi, che comunque soggiacciono alle stesse logiche di contendibilità e ai medesimi rapporti di forza vigenti venutisi a determinare storicamente nel corso della lotta per le risorse del territorio. Risultato: le leggi non attuano i principi costituzionali ma rispecchiano le disparità economiche e i rapporti di forza vigenti nel Paese. La Costituzione rimane quindi un libro dei sogni e volendo essere severi essa è pure concepita ingenuamente per esserlo (o probabilmente ha voluto tracciare solo un remotissimo punto di arrivo, i padri costituenti non potevano non essere consapevoli dei reali rapporti di forza e non potevano immaginare altro che una Carta per ribaltarli un giorno a venire) dato che come suole dirsi “il difetto sta nel manico”, sta a monte, nelle struttura economico-sociale che determina i rapporti di forza nei palazzi del potere.. Non si sta dicendo qui che è meglio sbarazzarsi della Costituzione, per niente, ma solo che è opportuno intravedere i suoi limiti e la sua funzione consolatoria. Ovviamente è anche uno stimolo a fare di meglio la Costituzione ma qui si vogliono individuare i suoi limiti nel contesto generale e non i suoi pregi peraltro noti.

La democrazia avrebbe avuto il merito di spezzettare, diffondere e moltiplicare le elite e le “caste”. Coloro che non rientrano in gruppi organizzati per cosi dire di autodifesa sociale ed economica se la passano peggio degli altri. Il grosso della ricchezza però è nelle mani di pochi. Le briciole sono state invece diffuse in maniera equanime. Basti un esempio. La soglia nazionale certificata Isee di povertà relativa attuale si attesta intorno ai mille euro, lo stipendio medio attuale degli Italiani intorno ai 1200 euro. Questo sarebbe allo stato attuale il vantaggio e il portato storico del sistema democratico. Un notevole progresso di democrazia economica di stampo europeo, quell’Europa che è stata bacino storico di civiltà e democrazia. Da appurare se il merito di tale impresa è tutto di chi detiene il grosso della ricchezza e del potere o non incombe per caso un certo demerito sui cittadini, su chi si è fatto e si fa rapinare in maniera così equilibrata e “democratica”. 

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E’ quello che del resto accade comunemente anche se in maniera farsesca e simulata. I legislatori, le maggioranze, fanno concessioni vere o presunte a rate. Se possibile cercano di imbrogliare le carte fino alla fine, emettono dei balloon d’essai per sondare se forze sociali, cittadini e media sono proprio addormentati oppure c’è qualcuno ancora sveglio, poi se proprio tutti si accorgono dell’inganno allora si rassegnano o quantomeno fingono di farlo: pazienza ci ho provato, adesso non posso che elargire una concessione vera. Ma spesso la presunta concessione vera non è una concessione ma un altro inghippo. E’ quello che succede sempre e che sta esattamente succedendo per l’Imu e la presunta riduzione delle imposte ad essa sostitutive. Si procede così per mesi, mani e mani di poker e bluff finché non ottengono la vittoria per sfinimento o con trucchi contabili non verificabili, spesso non verificabili neanche da parte degli stessi ministri o almeno così dicono i ministri forse per scaricarsi la responsabilità politica. E’ un teatrino abilissimo, un gioco delle 3 carte o dei quattro cantoni da parte di burocrazie ministeriali e responsabili politici ai danni dei cittadini. Ma non si può andare avanti con questa farsa, sono decenni che usano questo schema di gioco e forse non tutti se ne accorgono per correre di conseguenza ai ripari.

Il gioco delle maggioranze di governo è sempre quello: concedere (o più spesso fingere di farlo) qualcosa in base alla temperatura del Paese, se il gioco gli riesce la temperatura cala. E quasi sempre gli riesce, raramente gli va male e concedono comunque solo delle briciole. Questa farsa criminale a puntate deve finire, le responsabilità sono diffuse e non solo degli eletti, ci sono pure gli elettori, da un certo punto di vista (quello delle elites) un popolo senza nerbo non ha neanche il diritto di essere rispettato, e infatti non si curano del rispetto. Aggiungiamo pure che il welfare clientelare (i vari familismi amorali colposi ma non dolosi, a differenza di quelli immorali che presuppongono il dolo) è un fenomeno antropologico (ed anche il portato della Democrazia, sempre clientelare oltre che Cristiana) che si basava e si basa tuttora sul bisogno, sull’urgente bisogno di sbarcare il lunario, il mero sopravvivere. Tenere la gente in miseria è un modo di renderla vulnerabile e ricattabile. Il welfare clientelare è in gran parte frutto della paura sociale di non farcela, non facciamo troppo i moralisti, il bisogno denuda e non aiuta certo a maturare quel senso civico che è solo di chi ha posizioni economiche non ricattabili. Nessuno ti regala niente, anche se ti è dovuto te lo devi saper conquistare. Non è giusto ma questa è la situazione che abbiamo ancora di fronte, dobbiamo prenderne atto e preparare piani accurati di autodifesa politica e sociale.

Diversamente, non potendo accedere neanche al Parlamento (e tanto meno al governo) non rimarrà che aspettare Godot (o il parterre fiorito dei vari Vedrò-Godot alla Letta, se si preferisce) mentre continueremo ad assistere basiti all’alternarsi di nuovi governi lobbistico-presidenziali che si pregeranno di elargirci solo delle truffe a rate, gabole contabili, imbrogli rateizzati e dilazionati nel tempo da sgranare pazientemente a guisa di rosario.

Carmine Nacci

Il Rosario di Godotultima modifica: 2013-09-05T08:59:10+02:00da casadelpopoloff
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