http://www.esserecomunisti.it/dati/ContentManager/images/occupiamolacici.jpg

 

di Paolo Ferrero

L’autunno è contrassegnato da una forte intensificazione dello scontro sociale. In particolare nelle ultime settimane la mobilitazione degli studenti medi e universitari ha assunto una dimensione, una continuità e una capacità di relazioni sociali che non si vedeva da decenni. Non si tratta di una protesta solo italiana. In molti paesi europei sta succedendo la stessa cosa e in larga parte dei casi si nota un significativo intreccio tra lotte studentesche e lotte dei lavoratori. Stiamo quindi parlando di un fenomeno generale, che ha ragioni materiali e che va ben al di là della contestazione dell’orrido Ddl Gelmini.
In ogni paese vi è una causa scatenante diversa ma il punto unificante del mondo giovanile e studentesco è la percezione chiara dell’assenza di prospettive. I giovani hanno chiaro che staranno – in larga maggioranza – peggio dei loro genitori. Non solo, sanno di non avere alcuna rete di garanzie a cui aggrapparsi e che quindi sono destinati a vivere come in guerra, sempre col timore di cadere in una imboscata. Inoltre, dopo anni di propaganda sul liberismo e sulla neutralità del mercato, i giovani hanno sotto gli occhi una cosa chiarissima: i soldi per salvare le banche non solo ci sono ma vengono in larga parte presi tagliando welfare e pubblica istruzione. Gli studenti si percepiscono quindi senza prospettive e capiscono che non vi è nulla di oggettivo o di naturale in quanto gli sta accadendo.
Il movimento studentesco di queste settimane è il primo vero movimento nato dentro la crisi capitalistica e che nella crisi si gioca la sua partita. E’ un movimento collettivo perché il problema è strutturale e riguarda il ruolo e la condizione giovanile, non questo o quell’individuo. E’ un movimento politico perché parte dalla contestazione specifica del Ddl Gelmini ma in realtà mette in discussione la propria condizione sociale.
La facilità con cui il movimento studentesco ha incontrato i metalmeccanici nasce proprio qui, dalla comune comprensione del ruolo sociale subalterno che le classi dirigenti hanno predisposto non solo per gli operai ma anche per i giovani. Ogni studente capisce immediatamente che vi è una relazione diretta, materiale, tra il taglio dei fondi per la scuola e l’università pubblica e la precarietà lavorativa come condizione strutturale, non contingente. Non a caso qualche ricercatore sociale faceva notare giustamente che questi studenti non hanno solo “sentimenti” ma anche – e forse soprattutto – “risentimenti”. Gli studenti non si muovono solo in nome di una idealità ma in nome di una materialità. Non si muovono solo “per” ma si muovono “contro”, si ribellano ad un peggioramento collettivo. Da questo punto di vista non si può non vedere come la questione studentesca e giovanile oggi in Italia – e in molti paesi europei – abbia tutte le caratteristiche di una contraddizione strutturale assimilabile a quella di classe.
Ci troviamo quindi dinnanzi ad un movimento che è espressione di una contraddizione strutturale. Da questo punto di vista è necessario operare per consolidare il movimento evitando che venga piegato ad obiettivi politicisti di corto respiro che non farebbero altro che decretarne la fine. Non dobbiamo ripetere gli errori fatti con il movimento di Genova, alla fine piegato tutto al tema dell’alternativa di governo. Consolidare il movimento vuol dire operare per approfondire la sua consapevolezza, per favorire la sua organizzazione in “istituzioni di movimento”. Dal ’68-’69 nacquero i consigli di fabbrica, i comitati di zona, così come da Genova nacquero i Social Forum. Oggi dobbiamo lavorare per favorire il potenziamento e l’allargamento di strutture di movimento che permettano di dare continuità e autonomia allo stesso. Che permettano di mettere al centro la ricostruzione di una soggettività sociale in grado di solidificare coscienza, progettualità e conflitto in forme non episodiche.
Per questo la mobilitazione del 14 dicembre è importantissima e dobbiamo lavorare ad una sua piena riuscita evitando accuratamente di legare i destini del movimento alla caduta o meno del governo. Il movimento ha un suo ruolo e una sua ragion d’essere che vanno al di là delle manovre di palazzo attorno a cui si gioca la crisi del governo Berlusconi. La costruzione di una rete di relazioni stabili che consolidi lo schieramento sociale che è andato in piazza il 16 ottobre e che sarà nuovamente in piazza il 14 dicembre è un obiettivo realistico e da perseguire con determinazione. Lo dobbiamo fare a livello nazionale come a livello territoriale e lo dobbiamo fare per rompere questa asfissiante centralità della politica-spettacolo per far tornare in campo la buona politica: quella che si nutre del protagonismo sociale e pone in modo chiaro il tema dell’alternativa a Berlusconi come al berlusconismo.

La carica dei cento movimentiultima modifica: 2010-12-13T11:38:13+01:00da casadelpopoloff
Reposta per primo quest’articolo

6 Thoughts on “La carica dei cento movimenti

  1. Ciao,complimenti per il lavoro che fai con il tuo blog, volevo farti conoscere il mio blog dedicato alla Grafica e al Designer per myblog.it ovvero creo grafiche personalizzate per i blog di MYBLOG.IT e altri lavori, per saperne di più vieni a visitare il mio blog e vai sulla sezione PORTFOLIO.Questo il link vieni a darci un occhiata: http://worldartdesigner.myblog.it/Se ti va lascia anche un commento e sempre molto gradito, e se ha bisogno di consigli ecc. chiedi pureGrazie, ciao a presto!

  2. Caso Unipol: Silvio Berlusconi verso l’archiviazione, Paolo verso il processo. Ecco, si sono già scambiati i regali di Natale.

  3. Daspo e reparti speciali, lo Stato fa la guerra alla piazzaL’Italia protesta e il Viminale risponde con sanzioni amministrative e rastrellamenti per chi manifestaCominciano a delinearsi le prime misure annunciate dal governo dopo gli scontri di piazza avvenuti martedì scorso a Roma, mentre il parlamento si pronunciava sulla sfiducia a Silvio Berlusconi. Per fronteggiare la crisi sociale e camuffare la vertiginosa caduta di credibilità politica dell’esecutivo verrà ulteriormente inasprita la gestione dell’ordine pubblico ispirandosi a quel laboratorio della repressione sociale che nell’ultimo decennio hanno rappresentato le curve degli stadi. Se il parlamento potrà essere facilmente controllato comprando altri parlamentari dell’opposizione per «acquisirli» alla maggioranza, per la piazza le cose stanno diversamente. Il governo teme i manifestanti, soprattutto la possibilità di una saldatura sociale stabile tra le varie componenti della protesta: i cittadini di Terzigno, i terremotati aquilani, i metalmeccanici, i precari, gli studenti, i migranti. Per questa ragione stanno per essere varati una serie di dispositivi di natura legislativa e tecnica in grado di consentire un ulteriore giro di vite repressivo nei confronti del diritto di manifestare e di esercitare l’attività politica con incisività e visibilità. Il ministro degli Interni ha accolto la proposta lanciata venerdì dal suo sottosegretario, Alfredo Mantovano, di adattare i daspo, cioè i divieti di accedere alle manifestazioni sportive, anche alle «manifestazioni pubbliche». Roberto Maroni ha giudicato l’idea «interessante», annunciando che potrebbe essere inserita da subito nel pacchetto sicurezza in discussione al senato. Mantovano ha spiegato che questa novità legislativa «colmerebbe una lacuna». La nozione di “pubblico” è per giunta talmente ampia da includere qualsiasi evento, di natura culturale, religiosa, ludica, musicale, che si realizzi fuori da uno spazio privato. Con una soluzione del genere saremmo ai vertici dell’afflato totalitario. Una ragione in più per scendere in piazza nei prossimi giorni e manifestare con più forza ancora, visto che è proprio questo diritto ad essere messo definitivamente in discussione. «A quando la tessera del manifestante»? Hanno chiesto politicamente i radicali. Dopo i limiti permanenti imposti ai percorsi, l’estensione e l’istituzionalizzazione di una zona rossa attorno ai palazzi della politica, ora diventa problematica anche la semplice possibilità di manifestare al di fuori di forme e contenuti sgraditi ai governi di turno. I daspo verrebbero applicati a chiunque avesse precedenti e denunce in corso, in sostanza interverrebbero prima del giudizio finale manifestandosi come una sanzione amministrativa anticipata prim’ancora che la colpevolezza venisse penalmente accertata. Un modo per rendere innocui gli oppositori politici. L’altra misura annunciata riguarda l’introduzione di “presidi mobili di pronto intervento” sul modello adottato dalla polizia greca per fronteggiare le imponenti contestazioni che da due anni fanno traballare il governo. La scelta di questa nuova strategia sarebbe supportata dalle analisi realizzate dalla digos e dalla polizia di prevenzione, in cui si parla di un «sistema parallelo che prescinde da chi ha organizzato la manifestazione perché si affianca a chi sfila, ma poi persegue altri obiettivi». Dai filmati degli incidenti di Atene e Londra, i responsabili dell’ordine pubblico e del contrasto all’eversione avrebbero tratto la convinzione della «presenza di analogie nella pianificazione degli attacchi, mirati verso gli obiettivi istituzionali e le forze dell’ordine». Da qui la decisione di ricorrere a piccole pattuglie mobili, coordinate dall’alto e da osservatori in abiti civili, che non seguono più il corteo o presidiano staticamente obiettivi sensibili e sbarrano strade, ma si muovono nel territorio circostante il tragitto della manifestazione a caccia dei gruppi considerati l’obiettivo da neutralizzare. In Grecia i Mat, gruppi speciali antisommossa, applicano da tempo questa strategia che assomiglia molto alla caccia praticata degli Indiani. Una forma di controguerriglia urbana a bassa intensità che consente di sorprendere gli avversari con degli agguati e dei raid improvvisi. Avanzano in fila indiana per poi scattare all’improvviso, spuntano dal nulla per agguantare i manifestanti isolati o aggredire i gruppetti confusi e sparpagliati. Si nascondono dietro gli angoli, accovacciati tra le vetture in sosta e gli arredi urbani. Anche la loro dotazione personale è speciale, tuta robocop, casco e maschera antigas, manganello agganciato dietro la schiena, decine di bombe “incapacitanti, cioè accecanti e assordanti, spray urticanti compreso i “capsulum”, potenti lancia-peperoncino che bruciano i polmoni. Addestrati all’arresto mirato sono in grado di infilarsi con azioni lampo all’interno del corteo per agguantare uno o due manifestanti e trascinarli via. Una tecnica già in uso nella polizia francese fin dalla metà degli anni 90, che alla fine dei cortei penetrava i gruppi di manifestanti che si attardavano negli scontri con pattuglie di 5-6 uomini. Due diretti sull’obbiettivo e gli altri intorno a protezione che si facevano strada a colpi di arti marziali.

  4. buon Natale a chi sta male e vaffanculo a tutti gli altri

  5. Caso Battisti: Berlusconi insiste con Lula. Lo fa sempre con chi porta nomi da mi-gnotta.L’amarezza di Berlusconi: “Ma vicenda non chiusa” “Esprimo profonda amarezza e rammarico per la decisione del Presidente Lula di negare l’estradizione del pluriomicida Cesare Battisti nonostante le insistenti richieste e sollecitazioni a ogni livello da parte italiana. Si tratta- afferma il presidente del Consiglio in una nota diffusa da Palazzo Chigi – di una scelta contraria al più elementare senso di giustizia”. “Esprimo ai familiari delle vittime tutta la mia solidarietà, la mia vicinanza e l’impegno a proseguire la battaglia perché Battisti venga consegnato alla giustizia italiana. Considero la vicenda tutt’altro che chiusa: l’Italia non si arrende e farà valere i propri diritti in tutte le sedi”, conclude Berlusconi.

  6. Vi fa ridere l’ultima barzelletta di Berlusconi su Bocchino?L’ultima barzelletta, Berlusconi la racconta a Montecitorio, davanti ad un drappello di deputati assetati di notizie sul futuro della legislatura: “State tranquilli, la legislatura va avanti, non si torna a votare”, rassicura. Poi, come al solito, butta lì la battuta:“Ci sono rimasto malissimo quando ho scoperto che Bocchino era un deputato e non un punto del nostro programma.”

Post Navigation