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Scomunichiamo il Vaticano

 

 

di Marco Sferini

Ma come… la sottosegretaria al Welfare Eugenia Roccella dice che la Legge 194 funziona, che “non va modificata in nessuna parte”, visto il calo degli aborti del 4,1% rispetto al 2007, l’Agenzia del farmaco introduce in Italia la commercializzazione della pillola RU486, che si inserisce pienamente nei parametri della citata legge, e il Vaticano fa la voce grossa, parlando addirittura di “scomunica” per le donne che ne faranno ricorso e per i medici che la somministreranno.
Scomunica. Vuol dire estromissione dalla comunità-Chiesa, espulsione dal mondo cattolico. Si rischia ancora una volta di impostare il dibattito su una mera discussione teologica sulla vita e la morte senza tenere in alcun conto la volontà degli esseri umani, delle donne in questo caso.
Un rischio che corriamo noi, anche chi, come il sottoscritto, è dichiaratamente agnostico, impermeabile a qualunque sentimento religioso storicamente o attualmente definito, ma non insensibile al fascino del mistero, del confine tutto umano dell’impossibile conoscenza totale di un senso per l’esistenza.
Un rischio che non corre la Chiesa Cattolica che tiene in così tanto disprezzo la volontà umana da attribuirle un libero arbitrio concesso dall’Essere supremo (la parola “Dio” è abusata e invocata tanto quanto la parola libertà…) agli esseri viventi: insomma, una volontà a metà. Vuoi e puoi se rispetti determinati canoni, se non infrangi i comandamenti, se segui le Sacre scritture, se obbedisci al magistero di Oltre Tevere.
La donna che, nel travagliato cammino libero della decisione di non avere un figlio, di rinunciare a questa possibilità del tutto autonomamente e legalmente, decide in tal senso è già scomunicata: è condannata, in pratica.
Ecco le moderne streghe che la chiesa mette sul rogo del pregiudizio generale. Pronunciando la parola “scomunica”, sapendo bene che ha un valore se e solo se si accetta l’autorità morale e teologica della Chiesa di Roma, il Vaticano opera comunque una distinzione e sancisce che esiste da oggi una diversità in più: chi decide e chi non decide di abortire con la RU486.
Il punto è proprio questo: dietro alla condanna dell’azione su un piano strettamente legato all’etica religiosa e alla conseguente disciplina di fede, c’è il montare di un pregiudizio che si scatena contro una libertà che non è così agognata, che non ha il sapore della felicità, ma che spesso è solamente l’ultimo nome che ha un diritto per troppo tempo negato in nome di domeniddio, in nome dei risvolti sacri e inviolabili della vita.
L’aborto chirurgico è il demonio di oggi solamente perché incrina il principio su cui si regge la sociologia clericale che fonda il suo essere sulla proprietà della vita nelle mani di un Ente supremo e non nella esclusiva, unica e irrinunciabile proprietà che ogni uomo, che ogni donna ha e deve avere di sé stesso. “Io sono mio”, per dirla con Stirner. Ma tra l’individualismo esasperato e l’espropriazione deistica di noi stessi c’è una via di mezzo che passa per l’autodeterminazione cosciente, aliena da dogmi e da prevenzioni di qualunque sorta, e che è l’unica possibilità di evitare sensi di colpa per tutte quelle donne che, giovani e meno giovani, si vengono a trovare nella situazione di dover scegliere principalmente della loro vita.
E ne hanno tutto il diritto, tanto quanto – in inversione proporzionale – non ha diritto il Vaticano e nessun altro di porre bollini di “scomuniche” sulle loro teste.
Si potrebbero dire mille cose sugli atti di “scomunica” e sui comportamenti della Chiesa Cattolica immediatamente dopo gli effetti degli allontanamenti dalla comunità ecclesiale. Si potrebbe dire che è e resta un semplice atto di proclamazione e che non ha valore legale.
Si potrebbe anche dire che la scomunica sovente viene comminata e altrettanto soventemente viene tolta, con la concessione del perdono papale. Insomma, la Chiesa si è inventata per secoli norme e tradizioni da seguire salvo adattarle ai tempi quando queste entravano in crisi per via del fatto che la maggior parte delle popolazioni le abbandonava.
Evitando il rischio di non essere più la guida degli uomini e delle donne, la Chiesa ha abbandonato quelle ritualità severe che si è data di tempo in tempo e si è adeguata alla “vox populi”.
Oggi è molto facile per un pontificato come quello di Ratzinger esprimere giudizi, condanne e anatemi dal profumo incensato dell’anacronismo, dal cattivo odore agre di sacrestia, in un momento in cui i tradizionalismi sono alla ribalta delle cronache, con le clessidre che corrono all’indietro senza sapere se vanno avanti o se tornano ancora più indietro, con le lancette degli orologi che impazziscono sotto i decreti governativi sui migranti, le leggi securitarie e le disposizioni razziste che ci fanno fare un balzo agli anni ‘30 del “secolo breve”.
Infatti, il Concilio Vaticano II è, come la nostra Costituzione, nell’ambito italiano, dimenticato dalle attuali autorità dello Stato monarchico retto da Joseph Ratzinger. C’è una perfetta sintonia tra la Chiesa e la politica italiana: anche in questo l’anomalia dello Stivale si vede tutta a confronto con la laica Francia, con la Spagna zapaterista e persino con l’austerità protestante della Germania o dell’Inghilterra.
Ancora una volta i diritti delle donne sono sotto accusa in quanto eresia antica di un dominio patriarcale che, a leggere Dan Brown, figura romanzescamente nella storia del cattolicesimo, ma che, alla prova dei fatti, è l’ammanto di un potere che si autoalimenta sulle sofferenze psicologiche, fisiche e morali di milioni e milioni di persone. Scomunicate il Vaticano lasciando libere le donne di decidere della loro vita, della loro salute.

Scomunichiamo il Vaticanoultima modifica: 2009-07-31T18:43:47+02:00da
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