FRANCAVILLA FONTANA Casadelpopolo (BR) Organo di contro-informazione

Lettera di una precaria a Silvio Berlusconi

RICEVO E PUBBLICO
“Lavorare di più, non stare con le mani in mano, trovarsi qualcosa da fare”. Da precaria trovo offensive, sinceramente offensive le esortazioni del Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Che, non contento di aver sottovalutato e di continuare a sottovalutare l’entità di una crisi economica globale, la carica sulle nostre spalle, la crisi. Sulle spalle dei precari o, peggio, di quelli che un lavoro l’hanno persino perso. E magari fosse possibile lavorare di più, se qualcuno gliene desse l’opportunità.
Io sono precaria, ed è una parola con cui ho imparato a convivere, mio malgrado. Suona male persino: ha un suono gracchiante, stride, è scomoda. Dietro e davanti a questa precarietà, nel mio passato e pure nel mio futuro, temo, c’è molto dolore, molta disperazione e molto buio macinato e molto ancora che ha da venire. Però ho imparato a farmi coraggio. A vivere il presente, che non è poi un principio ereditato dalla generazione-formica dei miei genitori. L’ho dovuto digerire anche questo a malincuore, essere cicala perché “del doman non v’è certezza”.
Non sono stata con le mani in mano mai, ho segnato nel curriculum tutto quel cursus honorum o via crucis, è lo stesso, che spetta a ogni laureato italiano, anzi sardo: laurea oltremare, master (ancora non ai tempi del back, purtroppo) e poi ho infilato co.co.co, co.pro per approdare al popolo della partita Iva. Ho sperimentato tutte le forme di sfruttamento, perso e trovato molti lavori. Mai a tempo indeterminato. Mi sono trovata qualcosa da fare, per dirla con Berlusconi. Questo qualcosa da fare ha arricchito molti, ma non me. Ha permesso a me di vivacchiare, quasi sempre con un generoso e indispensabile contributo familiare, e ai miei datori di lavoro di fare ampi ricarichi sulla mia esistenza precaria. Di sfruttarmi meglio e di più, dietro la promessa di una stabilizzazione mai arrivata e il ricatto che dietro di me c’era sempre qualcuno disposto a vendere le sue mani e il suo cervello a un prezzo più basso.
Questa non sono io: è una generazione. E io mi sento persino fortunata ad essere precaria. Perché accanto a me è uno stillicidio di licenziamenti in tronco, senza nessuna tutela o paracadute sociale. Il fatto è che i precari cadono da troppo in basso per avere la dignità di un paracadute. Cadiamo, ed è da così in basso che non prendiamo nemmeno la botta. Ci siamo abituati.
Ora, se lo avessi davanti il Presidente-operaio, ferroviere e quant’altro, vorrei infilarlo nella mia vita, o in quella di un qualunque altro precario, di un qualunque altro disoccupato, per fargli provare quant’è difficile restare a galla. E quanto è offensivo continuare a calpestare la nostra dignità dandoci dei fannulloni, attribuendo a noi la colpa di non aver fatto abbastanza per guadagnarci la serenità di un lavoro sicuro. Una teoria quasi lombrosiana, senz’altro una scorciatoia per spiegare un fenomeno più complesso, a cui sarebbe superfluo rispondere – una delle tante boutade berlusconiane – se non fosse che questo messaggio, rimbalzato per tre volte nei suoi discorsi, rischia di penetrare nella coscienza comune e di andarsi a sedimentare fra gli alibi a cui poter addebitare la crisi. Come se ce la fossimo meritata.

Lettera di una precaria a Silvio Berlusconiultima modifica: 2009-03-28T13:28:06+01:00da
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